Buona parte del mondo occidentale è pericolosamente intrappolato in un debito che sta sfuggendo di mano. Gli Stati Uniti, il Regno Unito e l’Eurozona stanno soffrendo il pieno impatto della recessione, con deficit di bilancio che stanno andando alle stelle, inflazionando così il debito pubblico, e con i prezzi, previsti in discesa per il 2009, che finiranno per aumentare il valore reale del debito.
In America e Gran Bretagna, particolarmente, i livelli di debito pubblico e privato sono insostenibili e ammontano a più del 300% del capitale e al 140% del reddito annuo, rispettivamente. Né il governo, né l’opposizione hanno idee concrete per evitare il crollo dell’economia o per alleviare la disoccupazione. Le analogie con la Grande Depressione del 1929 sono sempre più evidenti.
Un po’ dappertutto, governi e banche centrali stanno disperatamente cercando di sbloccare i mercati del credito. Attraverso un misto di ricapitalizzazioni, prestiti garantiti dallo Stato e quantitative easing (cioè l’immissione sul mercato di liquidità superiore a quella necessaria per mantenere i tassi di interesse vicini allo zero), si spera di iniettare abbastanza denaro in un sistema bancario illiquido, abbassare i tassi reali di interesse e ristabilire così il flusso di capitali verso le aziende e i proprietari di immobili bisognosi di denaro fresco.
Tutto questo attivismo sarà inutile, tuttavia, se non si affronterà il problema dell’eccessivo debito pubblico e privato, causa prima della crisi. La necessità di combattere l’emergenza della crisi fa sì che governi e banche centrali non prendano in considerazione gli effetti negativi a lungo termine di misure di breve termine mal concepite, quali i costosi salvataggi di banche senza limitazioni. Ciò di cui invece c’è bisogno è la conversione su larga scala del debito.
Il punto è che molti paesi sono presi in un circolo vizioso tra i tentativi di ridurre il debito e la deflazione reale degli attivi. Di fronte alla montagna di debiti causati da investimenti speculativi in mutui inaffidabili, le banche americane ed europee sono obbligate a continui deleveraggi, cioè a scaricare dai propri bilanci le attività a rischio per evitare l’insolvenza e la completa nazionalizzazione. La vendita forzata riduce il prezzo degli attivi e aumenta l’esposizione di altri soggetti, a loro volta costretti a liberarsi di attività, e così via: il valore reale del debito aumenta e aumenterà ancora con l’aggravarsi della recessione e con il graduale passaggio dall’attuale bassa inflazione alla deflazione.
Inoltre, banche e istituzioni finanziarie si stanno preparando ad affrontare un’altra ondata di inadempienze, derivanti da carte di credito, prestiti per l’automobile o per gli studi, obbligazioni societarie, fondi assicurativi o pensionistici. Recentemente, il Fondo Monetario Internazionale ha alzato a 2200 miliardi di dollari la sua stima per le svalutazioni del settore finanziario dai 1.400 miliardi dell’ottobre 2008.
Secondo Nouriel Roubini, chiamato “Dr Doom” (Dottor Rovina) per le sue fosche previsioni di tre anni fa (peraltro piuttosto centrate), le perdite totali finanziarie per gli Usa potrebbero raggiungere i 3.600 miliardi di dollari, a fronte di un patrimonio di 1.400 miliardi, cioè, dice Roubini, «il sistema finanziario è insolvente. Tecnicamente è bancarotta».
Questo spiega perché gli interventi statali non abbiano ripristinato il flusso di credito verso l’economia. Nel caso della Gran Bretagna, le recenti politiche del governo sono fallite perché, nell’attuale clima di paura e sfiducia, le banche si tengono il denaro ricevuto dallo Stato per far fronte a ulteriori possibili insolvenze. Data la loro leva (la relazione tra i debiti della banca e il suo capitale) storicamente molto alta e la difficoltà di raccogliere capitali privati, le banche britanniche continuano a ridurre i prestiti.
Il risultato è che bassi tassi reali di interesse da soli non bastano, perché le banche hanno scarso interesse a prestare denaro e molte ragioni per tenersi il denaro pubblico immesso sul mercato, proprio per il circolo vizioso debito/deflazione già descritto. I prestiti torneranno a livelli adeguati se e quando verrà ristrutturato questo debito insostenibile, verrà generata una maggiore domanda di beni e servizi (rendendo gli investimenti di nuovo redditizi) e, allora sì, con tassi reali bassi.
Anche l’idea dei Conservatori di promuovere il risparmio delle famiglie non funziona, perché i risparmiatori non si fidano di banche sull’orlo della bancarotta e molte famiglie devono far fronte non solo ai mutui, ma a prestiti per il consumo. Nel 2008, il debito medio delle famiglie ha raggiunto il 140% del reddito annuo disponibile. Con i prezzi delle case in discesa e gli stipendi stagnanti, molti saranno costretti a sottoscrivere nuovi prestiti a tassi ben più alti che non il tasso ufficiale, attualmente al minimo storico dell’1%.
Come reazione a questa crisi senza precedenti, gli Stati Uniti e molti governi europei stanno aumentando fortemente la spesa pubblica, nel disperato tentativo di salvare il settore finanziario e compensare la caduta dei consumi privati. Così, non solo si caricano di debiti le generazioni future, ma si mette a repentaglio anche la ripresa, perché l’aspettativa di una più alta tassazione riduce consumi e investimenti.
L’esempio inglese è istruttivo. La costosa spesa pubblica dei Laburisti sta aggiungendo un nuovo strato alla montagna del debito, mentre i tagli alla spesa proposti dai Conservatori ridurranno ulteriormente la domanda aggregata, approfondendo la recessione e aumentando così il tasso di indebitamento sia pubblico che privato. In entrambi i casi non si sfugge alla spirale dei debiti. Negli Usa, l’Amministrazione Obama spera che la più alta produttività americana aiuterà a ridurre il deficit fiscale, aumentato massicciamente da un pacchetto di stimoli per più di 850 miliardi di dollari.
In questa situazione, governi e banche centrali devono prendere misure più coraggiose che non l’acquisto di quote aziendali impossibili da valutare o di attività “tossiche” che minano la fiducia nel sistema finanziario internazionale. Due iniziative radicali sono necessarie: primo, la conversione dei debiti privati (e di parte di quelli societari) per evitare fallimenti ed espropri della casa; secondo, la monetizzazione del debito pubblico per minimizzarne i livelli e limitare il più possibile l’aumento futuro delle imposte.
È necessario convertire rapidamente mutui e prestiti al consumo in prestiti a lungo termine a basso tasso fisso di interesse, attuando quanto proposto dall’economista di Harvard Martin Feldstein: lo Stato dovrebbe offrire la trasformazione di una parte dei mutui (20/50%) in prestiti del governo a basso interesse, con un tetto massimo.
Nel caso dell’Europa, questa cifra potrebbe essere di 75.000-100.000 euro, l’interesse annuo attorno all’1-2% (attuali tassi base rispettivamente di UK ed Eurozona) e con un periodo di ammortamento di 20-30 anni. Un simile piano aiuterebbe a ridurre gli espropri di abitazioni e a stabilizzare il mercato immobiliare, a cui è legato il 60% della ricchezza della Gran Bretagna. Piani simili potrebbero essere adottati anche in altri settori, come l’immobiliare non residenziale o i prestiti al consumo.
Uno dei vantaggi principali della conversione del debito è che riduce il peso immediato del debito, diminuendo le insolvenze ma senza cancellarlo totalmente, evitando quindi un’ulteriore perdita di valore degli attivi. I prestiti verranno riportati ad un livello corretto quando i beni cesseranno di perdere valore e ciò avverrà solo riportando il debito sotto controllo. I debiti saranno così ricollegati alle attività reali, come hanno chiesto già nello scorso autunno Papa Benedetto XVI, il nuovo Patriarca di tutte le Russie, Kirill I e i vescovi anglicani di Canterbury, Rowan Williams, e di York, John Sentamu.
Il secondo punto è il quantitative easing con lo scopo di un’espansione fiscale mirata e coordinata. La Federal Reserve, la Banca di Inghilterra e la Banca Centrale Europea devono monetizzare il debito pubblico comprando debito aggiuntivo, cioè espandendo la base monetaria. In altri termini, le banche centrali devono aiutare le aziende (comprando attività private) e il settore pubblico (comprando quote di debito governativo), così da rendere liquido il debito pubblico ed evitare la concorrenza tra pubblico e privato nella richiesta di fondi ad un mercato a secco di capitali freschi.
C’è ancora tempo per rallentare la recessione, ma le iniziative di pronto intervento per stabilizzare il sistema finanziario e la costruzione di un diverso modello economico devono essere considerati contemporaneamente.
Se attuati insieme, conversione dei debiti e monetizzazione offrono all’Occidente una soluzione più efficace per uscire dalla situazione difficile in cui si trova, con la spirale debito/deflazione, la distruzione di attivi e la disoccupazione di massa. Un giubileo dei debiti con una espansione fiscale di breve durata possono aiutare a evitare l’aggravamento della recessione e la sua trasformazione in una vera e propria depressione.