Appena tre anni fa, insieme al fiorente giardino dell’Eden dell’Est Europa, la Germania appariva come la terra dell’oro per Unicredit. Oggi è invece la fonte da cui sgorgano i guai per l’istituto di Piazza Cordusio.

Il governo tedesco ha infatti approvato una bozza di legge che consente allo Stato la nazionalizzazione delle banche in difficoltà. Un provvedimento che consente a Berlino di prendere il controllo dell’immobiliare Hypo Real Estate e lascia aperta la possibilità di un’espropriazione degli azionisti come ultima risorsa. C’è poco da fare. Quella delle banche tedesche è una crisi che spaventa: non a caso il mese scorso il governo tedesco ha incamerato una quota del 25% di Commerzbank.



La Germania sembra un fiume in piena che rischia di travolgere la banca traghettata da Alessandro Profumo, sprofondata in Borsa ai minimi degli ultimi 12 mesi. Del resto Unicredit non può certo sperare in un intervento statale da parte di Berlino.

E c’è di più. Tutto il sistema finanziario dell’Europa dell’Est sta pericolosamente scricchiolando. Compresa la Russia dopo che il premier Vladimir Putin ha messo la firma a un secondo pacchetto di aiuti al sistema creditizio da circa 47 miliardi di euro. Sembra paradossale, ma i punti di forza di Unicredit si stanno trasformando nella sua condanna.



Proprio dalla radiografia degli impieghi emergono i sintomi più preoccupanti. In totale gli impieghi del gruppo Unicredit nella zona ammontavano a fine settembre a 88,4 miliardi di euro. La quota maggiore è in Polonia (21,7 miliardi di euro), la Russia è al secondo posto con 10,6 miliardi di euro e di seguito ci sono la Croazia (8,1 miliardi), la Repubblica Ceca (6,7 miliardi) e l’Ucraina (4,5 miliardi).

Nemmeno dal Kazakhstan arrivano buone notizie. Nel 2007 Unicredit rilevò Atf Bank, la quarta banca locale, mettendo sul piatto 1,7 miliardi di euro pari a circa 30 volte gli utili. Quello che sembrava un affare è diventato un bidone visto che il governo di Astana ha nazionalizzato i primi due istituti di credito del Paese e svalutato la moneta del 18%.



Insomma, il sistema finanziario dell’Europa dell’Est fa acqua da tutte le parti e mentre le banche più piccole galleggiano quelle più grandi rischiano di affondare. All’allarme di Moody’s si è aggiunta Standard & Poor’s, secondo cui «alcune banche europee come Unicredit hanno avuto un ruolo cruciale nell’ex blocco comunista, finanziandone la crescita e surriscaldando i sistemi bancari, e ora stanno soffrendo per la crisi dell’Europa Orientale».

Lo scenario diventa sempre più fosco: la fuga dei capitali esteri ha messo al tappeto le valute, soffocando le famiglie che si erano indebitate in euro per approfittare dei tassi bassi. Di conseguenza, le banche si trovano a fronteggiare il pericolo di un vertiginoso aumento dei clienti che non saranno in grado di pagare la rata del mutuo. E dovranno fare i conti pure con gli interventi dei diversi Stati a sostegno delle banche più strategiche e funzionali a quel sistema Paese.

Intanto Unicredit prova a rassicurare il mercato, sottolineando come «la diversificazione geografica sia un fattore positivo cruciale anche in fasi di rallentamento macroeconomico». L’ultimo paradosso per Unicredit giunge però dalle parole del presidente del Consiglio di Gestione di Intesa Sanpaolo, Enrico Salza: «Su Unicredit siamo intervenuti per senso di responsabilità. Auspichiamo che un grande gruppo come Unicredit possa stare in piedi perché è nel nostro interesse e nell’interesse del Paese».

Intesa Sanpaolo finanzierebbe infatti con 70 milioni la newco predisposta da Fondazione Crt e Carimonte, azioniste di Unicredit, per far fronte alle obbligazioni convertibili del Gruppo. Un tè caldo mentre infuria la tempesta. Ma soprattutto un segnale che il mondo è davvero cambiato.