A pochi mesi dalle rinnovate strategie italiane per il settore dell’energia si è compiuto ieri a Roma un primo passo politico e industriale di indubbio impatto strategico e di rilevante ampiezza economica.

L’operazione si colloca infatti nella prospettiva di avere al 2030, nel nostro paese, un adeguato mix produttivo dell’energia elettrica, con le fonti fossili (soprattutto il gas naturale) al 50%, le energie rinnovabili (idroelettrico, solare, eolico, ecc) al 25% e le fonti elettronucleari al rimanente 25%.



L’accordo tra Italia e Francia in materia di energia da fonte nucleare, e più precisamente tra i due colossi dell’industria elettrica Edf ed Enel, segna quindi di fatto una scelta molto precisa e specifica in molti aspetti. Edf (Electricité de France) è la maggiore società elettrica al mondo, per fatturato, per energia prodotta e venduta, per presenza nel mondo intero, per impianti installati. È a proprietà di maggioranza dello Stato francese ed è anche il produttore con il portafoglio più ricco di impianti nucleari: oltre 50 impianti sui 430 che ci sono nel mondo.



La prima considerazione è che si tratta quindi di un soggetto industriale di assoluto rilievo internazionale e un partner di indubbio valore per Enel, che tuttavia non è proprio a zero nel settore nucleare grazie alle centrali gestite in Slovacchia ed in Spagna.

I memorandum siglati dalle due società prevedono, una volta completato l’iter legislativo e tecnico in corso presso il Parlamento italiano, di costruire e fare entrare in funzione nel nostro Paese almeno quattro reattori del tipo Epr (European Pressurized Reactor) di terza generazione.

In termini di reciprocità, con un secondo accordo, Enel partecipa a un programma per cinque nuovi impianti in territorio francese. In sintesi, l’EPR rappresenta l’evoluzione dei reattori pressurizzati costruiti ormai in tutto il mondo ma con tutti quegli accorgimenti che la vastissima esperienza francese ha acquisito negli anni. In particolare si ha un miglioramento della sicurezza anche nei confronti dei cosiddetti incidenti più “severi”, una riduzione dei costi di realizzazione, un ciclo di gestione del combustibile più sostenibile. Le dimensioni sono da “record” poiché la potenza è pari a 1600 MW.



L’ambizioso e impegnativo traguardo posto dal Ministro Scaiola, ovvero quello di porre la prima pietra di una centrale nel 2013 ed avviare il primo reattore nel 2020, si fa pertanto oggi più concreto e perseguibile.

Dal punto di vista generale l’accordo odierno appare coerente con l’impostazione legislativa in discussione in questo periodo in Parlamento, ma per esprimersi con precisione occorre attendere che la legge arrivi a compimento. Certamente l’esperienza francese, nel suo complesso, si porta con sé alcuni aspetti positivi non secondari, quali le autorità di controllo per la sicurezza, le esperienze di ingegneria, le economie di scala per gli investimenti, la capacità di comunicazione e di accettazione da parte della cittadinanza.

Il percorso per il ritorno del Paese a questa fonte di energia resta però da completare. Permangono infatti alcune importanti tematiche da affrontare: il rispetto dei principi di concorrenza del mercato elettrico, l’individuazione dei siti per gli impianti e il loro inserimento nella rete di trasporto elettrica nazionale, la creazione delle competenze, l’individuazione dei siti per lo smaltimento dei rifiuti. Quello di ieri è un primo passo, molto concreto e anche pesante.

Siamo, però, soltanto di fronte a un annuncio su un accordo specifico. Sappiamo che l’aspettativa di fondo dell’opinione pubblica è di potersi confrontare con una visione di lungo periodo sul tema del nucleare in Italia, con una visione progettuale consensualmente condivisa nel Paese capace di integrare la prospettiva del nucleare entro un più ampio e organico riferimento al tema delle fonti di energia rinnovabili.

Rimane molto da lavorare, per le istituzioni, le imprese, gli organismi di regolamentazione, i media. Ma altri percorsi più efficaci sono difficili da immaginare.

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