A 22 anni dal referendum che disse no al nucleare, l’Italia ritorna in campo dopo la firma dell’accordo Italia-Francia. Nel nostro paese si è riaperto il dibattito. Per Massimo Beccarello, docente di Economia industriale nell’Università di Milano Bicocca, ci sono ora le condizioni per completare il quadro normativo e regolatorio mancante. A patto di fare presto, e di lanciare una politica di confronto bipartisan, non ideologica, basata su un’informazione esaustiva e trasparente. Perché «non possiamo permetterci, questa volta – dice Beccarello – che la scelta del nucleare resti incompresa».
Il protocollo di cooperazione energetica siglato tra Italia e Francia dovrebbe finalmente imprimere la spinta decisiva per il ritorno al nucleare nel nostro paese.
La mia personale valutazione è che il protocollo sia soprattutto un accordo di fattibilità, in grado cioè di avviare uno studio sulla fattibilità reale del nucleare in Italia. Il primo segnale essenziale è che gli operatori sono pronti, e che l’iniziativa privata si è dimostrata in grado di fare da traino al confronto politico e al dibattito legislativo. Il secondo è che l’accordo pone le premesse per definire il quadro di regole necessarie a sviluppare il nucleare italiano.
Quali sono a suo avviso le criticità esistenti?
È fondamentale iniziare un confronto pubblico sullo stato dell’energia nel nostro paese, altrimenti non si riuscirà a rendere partecipe il cittadino di una scelta strategica così importante. Il nostro bilancio energetico dipende per l’80 per cento da paesi terzi, soprattutto extra Ue, e nel 2020 la nostra dipendenza potrebbe essere nell’ordine del 95 per cento. Non possiamo permetterci, questa volta, che la scelta del nucleare resti incompresa. La nostra politica energetica ha bisogno di scelte strategiche forti e lungimiranti, e tutto questo gli italiani devono saperlo.
L’atomo escluderà le altre fonti energetiche?
Con un’esposizione e una dipendenza energetica così forte, il nostro paese deve trovare un mix equilibrato delle fonti. Sì quindi alle rinnovabili, ma esse sole non ci consentirebbero mai di arrivare ai numeri che ci servono. E i vincoli ambientali che ci siamo dati non ci consentono di colmare il fabbisogno ricorrendo ai soli combustibili fossili.
Il nucleare prevede un investimento triplo – si parla di 20 mld – rispetto a quello richiesto per impianti tradizionali. È sempre conveniente?
È vero che costa il triplo, ma occorre evitare semplificazioni indebite e guardare al medio, lungo periodo. Gli ultimi dati sui vecchi impianti dicono che è stata allungata la vita utile di utilizzo degli impianti di seconda generazione. Noi faremo i conti con impianti Epr di terza generazione, che vivranno circa 60 anni, quindi sarà un nucleare che costerà il triplo ma durerà tre volte di più. Con il vantaggio di non avere un produzione del chilowattora con una materia prima soggetta alle forti oscillazioni caratteristiche dei combustibili fossili.
Per quello che è dato sapere sarà un Comitato esecutivo bilaterale a dare concreta attuazione al protocollo e a definire le collaborazioni con i vari soggetti coinvolti: imprese di costruzione, operatori, agenzie di sicurezza, etc. Dobbiamo attenderci contrattempi ed incognite procedurali?
Una volta che sarà pronto il dispositivo legislativo ci sarà un’Autorità per il nucleare che avrà il compito di sovrintendere tutti gli aspetti regolamentari per lo sviluppo della tecnologia in un contesto di mercato. Poi parallelamente è partito il lavoro dell’Uni, l’ente di certificazione italiano, per far sì che anche in Italia siano previsti gli standard di certificazione per le aziende che operano nell’indotto del nucleare. Il Comitato dovrà procedere realizzando un framework trasparente come accade in tutti i paesi che hanno il nucleare, dotato di un’autorità di vigilanza indipendente. Dovrebbero, in altre parole, esserci tutti i requisiti per procedere come avviene in ambito internazionale.
Vede il rischio che l’accordo, stretto tra i due governi insieme a Edf e Enel, precluda lo sviluppo di un mercato nucleare italiano aperto alla concorrenza?
Enel è uno dei principali operatori, quindi è naturale che fosse il first mover nel contesto italiano, ma ritengo che se le regole saranno definite come si deve ci sarà spazio anche per altri soggetti. D’altra parte i 6mila megawatt previsti dall’accordo sono pochi rispetto al nostro fabbisogno. Non a caso sono previsti modelli consortili, per una capacità intorno ai 10mila megawatt, che potrà essere gestita autonomamente e indipendentemente dai soggetti che partecipano al consorzio. E mi risulta che ci sia un’apertura non solo nei confronti di altri soggetti italiani o stranieri, ma anche dei nostri consumatori industriali.
Subito alcune Regioni si sono dette disponibili, altre si sono candidate, altre ancora hanno messo il veto. C’è chi ha subito puntato il dito sul problema dei siti, vedendovi il primo serio ostacolo sulla strada verso l’atomo.
Sappiamo che il nucleare richiede determinate condizioni fisiche del territorio, non ultima l’acqua disponibile. Ma molte prese di posizione sono state affrettate. Credo che il confronto tra Regioni e governo centrale dovrà essere giocato su due temi: regole chiare e informazione. L’importanza di quest’ultima è anch’essa strategica, perché il nucleare è un investimento che implica un’analisi costi-benefici con una forte componente di interesse generale.
Non solo quindi il risparmio energetico in bolletta…
In Francia per esempio i benefici sono stati trasferiti in modo tangibile anche alle comunità ospitanti. Ma c’è anche il tema sicurezza: quanti sanno che lo standard previsto per la gestione degli impianti è elevatissimo? E poi: siamo davvero consapevoli del nostro grado attuale di dipendenza energetica? C’è un set informativo che deve essere messo a disposizione in modo “laico”, trasparente, senza pregiudizi. Su questa base occorre avviare un dibattito livello nazionale.
La scelta del nucleare ha fortissime implicazioni industriali. Può farne un esempio?
In questa fase di crisi economica l’Italia ha la “fortuna” di avere un buon 29 per cento del Pil dato dal settore manifatturiero. Questo settore ha un costo di energia mediamente più elevato del 30 per cento rispetto agli altri paesi, e nonostante questo, tiene il passo. Ma se non riusciremo a metterci progressivamente in linea con i costi degli altri paesi, molte industrie di base – siderurgia, chimica, carta – andranno all’estero o saranno delocalizzate. Nel frattempo la Francia e la Germania hanno un’industria di base forte perché mettono a disposizione energia a basso costo.
Proprio la Germania è uno degli esempi virtuosi più citati per il ricorso alle fonti rinnovabili.
Si porta sempre ad esempio la Germania perché è un paese all’avanguardia nelle fonti rinnovabili, ed è vero; ma con il carbone e il nucleare alle spalle. E l’Inghilterra? Sta riprendendo la strada del nucleare. La globalizzazione vuol dire anche riflettere sulle strategie degli altri, che inevitabilmente determinano la posizione competitiva dell’Italia. L’efficienza energetica è un fattore fondamentale per lo sviluppo ma il precedente governo l’ha “bistrattata”. C’è da augurarsi che questo governo non faccia lo stesso errore.
Siamo sulla strada giusta?
Possiamo recuperare un gap storico grazie ad un operatore, Enel, che si sta muovendo molto bene nel contesto internazionale. Possiamo mutuare dagli altri paesi framework normativi e competenze. Se non possiamo fare il nucleare interamente italiano, portiamo le risorse e col tempo si ricreeranno anche le competenze. La quarta generazione è una grande opportunità che non sarà pronta prima del 2030? Bene, utilizziamo la terza, così non ci precludiamo la via della quarta e diamo il via a quel volano di sviluppo che può derivare dall’avere il nucleare il prima possibile.