Più di una volta il ministro dell’Economia Giulio Tremonti è tornato sulla necessità di elaborare un sistema di regole per uscire dalla sabbie mobili nelle quali la crisi finanziaria ha gettato l’economia reale. È in questo filone che si inserisce, come si è visto recentemente a Davos, il dibattito sulle possibili strade da percorrere per liberare il mercato del credito dagli asset tossici. Ora, non vi è dubbio che l’attuale situazione trovi fra le sue determinanti un insieme di regole datate e insufficienti; regole e istituzioni internazionali che peraltro in gran parte erano state elaborate nel secondo dopoguerra, sulla scia di un momento storico particolare, concatenato e comunque non lontano rispetto alla grande depressione. Quando le regole sono inadeguate e i mercati poco trasparenti, è inevitabile che prevalgano equilibri inefficienti. Ecco perché sarà possibile uscire dall’attuale situazione di stallo solo a condizione di invertire le aspettative degli operatori riguardo al futuro, la loro fiducia riguardo al contesto economico in cui operano ricreando un insieme di argini e di regole affidabili.
In un’ottica di questo tipo l’ipotesi di riproporre l’idea di Delors relativa all’emissione di titoli europei volti al finanziamento delle grandi infrastrutture a rete non è affatto sbagliata, seppure più consona ad una prospettiva di policy relativa al medio e lungo periodo (ovvero alla crescita) piuttosto che a contrastare un inatteso contesto negativo quale l’attuale crisi. Il dato positivo, comunque, è la consapevolezza che la crisi vada contrastata in modo congiunto insieme agli altri partner europei. La politica economica europea soffre dell’evidente asimmetria fra una politica monetaria unitaria e politiche di bilancio asimmetriche fra i diversi Paesi, con livelli del debito pubblico anche profondamente diversi.
Gli stessi paesi europei stanno soffrendo degli effetti della crisi in modo differenziato; questo è dovuto anche al recente processo di integrazione economica e all’introduzione dell’euro. Negli ultimi dieci anni abbiamo assistito ad una profonda ristrutturazione del tessuto produttivo, con marcati processi sia di specializzazione che di decentramento, favoriti anche dalla crescente concorrenza delle economie emergenti. È noto come uno dei pochi vantaggi delle crisi economiche sia costituito dal fatto che queste favoriscano la “selezione naturale” delle imprese: alla fine rimangono i migliori e ciò che rimane è sano. Ma, come appena ricordato, questa crisi si innesta su un processo di razionalizzazione che dura già da un decennio: le imprese sono già temprate, ma la prova è ancor più ardua. Come più volte ricordato, anche dallo stesso Tremonti, gli italiani hanno il vantaggio di una propensione al risparmio storicamente elevata e, di conseguenza, contrariamente a Stati Uniti e Gran Bretagna, un contenuto indebitamento dell’economia privata, ma presentano anche punti di debolezza che nell’attuale contesto non aiutano affatto.
Gli snodi sono sempre i soliti, ma è opportuno ricordarli: debito pubblico, dipendenza energetica, scarsità di infrastrutture a rete, sviluppo del Mezzogiorno. In una fase di emergenza quale quella che stiamo vivendo, accanto a politiche monetarie basate sull’abbattimento dei tassi di interesse, occorrerebbero misure di bilancio espansive, ma questo è molto più difficile in una realtà come la nostra rispetto a nazioni in cui il valore relativo del debito pubblico è inferiore: se Obama deve far fronte al debito dell’economia privata usando come paracadute l’economia pubblica, l’Italia è nella situazione in cui è lo Stato che per anni ha utilizzato il paracadute dei risparmiatori. Il governo varerà misure a sostegno dell’economia, ma indipendentemente dal loro ammontare, l’efficacia dipenderà dalla capacità di rimettere effettivamente in moto l’attività produttiva.
Purtroppo il Paese è fin troppo abituato a interventi pubblici dedicati a opere di infrastruttura che non vengono ultimate; a spese, anche ingenti, che non sono mai riuscite a far decollare ampie aree del nostro Mezzogiorno. Gli aiuti all’auto sono necessari, come in Francia, in Germania e negli Stati Uniti, al fine di tutelare il lavoro di decine di migliaia di famiglie. Tali aiuti però devono avere natura strettamente congiunturale; non dovrebbero andare a discapito delle imprese di minor dimensione che rappresentano il reale tessuto connettivo della nostra economia e che sono state sottoposte ad un processo darwiniano non trascurabile.