Il draft report dell’Europarlamento (Commissione Lavoro e Affari Sociali) sull’economia sociale (14 novembre 2008, 2008/2250(INI), relatrice l’italiana Patrizia Toia) presentato in questi giorni evidenzia che l’agire non lucrativo – in specie in momenti di crisi come quello che stiamo attraversando – rappresenta un fenomeno non solo presente, ma in crescita a livello macro europeo.



Alcuni dati: 2 milioni di imprese coinvolte nelle attività (advocacy, erogazione di servizi alla persona, interventi di solidarietà, ecc.), le quali contribuiscono a creare il 6% dei posti di lavoro. Si tratta di un comparto – si legge nel Rapporto – definito da un concetto di imprenditorialità diverso da quello tradizionale: infatti, l’economia sociale (terzo settore, non profit, terzo sistema) si basa sul beneficio sociale e non sul profitto.



L’economia sociale, ancora, è considerata quale protagonista chiave per sviluppare e implementare la strategia di Lisbona, realizzandone gli obiettivi primari, tra i quali spicca la vocazione alla responsabilità sociale. Si aggiunga che il settore non profit è in grado di sviluppare azioni e interventi a livello locale, così da diventare un partner affidabile per le pubbliche amministrazioni che debbono progettare gli interventi a favore dei cittadini, in specie quelli più deboli.

Quali le raccomandazioni del Rapporto in parola? Ecco le principali:

1- il riconoscimento del concetto di economia sociale: il Parlamento UE sollecita un approccio al settore non profit capace di valorizzarne la capacità di creare posti di lavoro per soggetti svantaggiati, di rafforzare la conciliazione tra esigenze famigliari e lavoro, di migliorare il processo produttivo attraverso la partecipazione dei diversi stakeholders alla gestione democratica dell’impresa;



2- il riconoscimento di un chiaro status normativo: si sollecita l’adozione di statuti europei per le associazioni, le fondazioni e le società di mutuo soccorso, in quanto spesso le organizzazioni non profit a livello transfrontaliero sono esposte ai rischi derivanti dalla concorrenza sleale delle imprese “tradizionali”;

3- il riconoscimento statistico: si richiede l’attivazione di percorsi di monitoraggio stabili e strutturati delle imprese appartenenti all’economia sociale e della loro capacità di generare occupazione;

4- la valorizzazione dell’economia sociale quale dimensione essenziale per favorire il dialogo sociale a livello comunitario;

5- favorire lo sviluppo delle organizzazioni non profit, che sempre più sono chiamate a confrontarsi con logiche di mercato e di concorrenza, nella direzione di permettere alle stesse di perseguire l’interesse generale della comunità, così rafforzando il processo di coesione sociale;

6- scambio di esperienze: il Rapporto ritiene fondamentale favorire lo scambio di esperienze innovative a livello locale, regionale e nazionale, attraverso la previsione di finanziamenti ad hoc che permettano la diffusione a livello europeo dei risultati raggiunti a livello locale;

7- la valutazione dei risultati: si richiede la promozione di un programma di ricerca a livello UE che permetta di analizzare la vasta gamma di attività svolte dalle organizzazioni non profit che non sono realizzate da altri settori, così da cogliere l’effettiva potenzialità del settore.

Il Rapporto in argomento, nel solco europeo dell’esperienza dell’economia sociale, ha il pregio di “ricordare” che le organizzazioni non profit non possono essere considerate in termini marginali e che il loro “peso specifico” travalica la loro dimensione quantitativa. Invero, il Rapporto considera necessario un approccio fondato sul riconoscimento di realtà che operano e che sono radicate nel tessuto europeo a partire dalla loro capacità di realizzare obiettivi di natura sociale e collettiva.

In questo senso, ci sembra pertanto apprezzabile il richiamo che la Commissione Lavoro e Affari Sociali rivolge alle istituzioni comunitarie affinché si impegnino a definire un quadro normativo maggiormente favorevole per le organizzazioni non profit. Si tratta in altri termini di muovere da una visione sussidiaria, attraverso la quale valorizzare e potenziare un giacimento di attività e di interventi che – anche indipendentemente da provvidenze fiscali specifiche – rappresentano una componente ineliminabile del processo di coesione sociale europea.