Il test dell’aumento di capitale di Enel da 10 miliardi di euro è un test sulla fiducia degli italiani. Di quella fiducia che il presidente del Consiglio e il ministro del Tesoro cercano di instillare nel corpo depresso dei risparmiatori.
L’Enel è, infatti, una delle maggiori società italiane, presente in 22 Paesi del mondo, con ricavi per 61 miliardi nel 2008 (più 40% grazie al consolidamento integrale della controllata spagnola Endesa), l’Ebitda è salito a 14,318 miliardi di euro (il 45,5% in più), ma ha anche debiti netti per circa 50 (in calo del 10%). L’aumento di capitale ha uno scopo molto semplice: aumentare la patrimonializzazione della società ed evitare che le agenzie internazionali di valutazione (alle quali, evidentemente, si continua ad attribuire autorità) abbassino il rating della solidità dell’azienda sotto il voto “A”, possibile, con un indebitamento del genere.
L’Enel ha 1,4 milioni di azionisti e solo il ministero del Tesoro e la Cassa Depositi e Prestiti superano il 2%: entrambe parteciperanno all’operazione e, successivamente, la prima girerà la sua quota al ministero. Ma cosa faranno gli altri 1.380.998 azionisti? La maggior parte di loro sono italiani. Verseranno soldi nell’azienda o no? La logica vorrebbe che accettassero (anche se il titolo, in un anno, è sceso da 6,3 euro a 3,6) dato che la cedola non ha mai deluso.
Ma questo, si sa, è un momento in cui la logica non è un campo molto frequentato, quindi qualche dubbio è più che legittimo. Se le tre banche che garantiscono l’aumento di capitale (dovrebbero essere Mediobanca, Intesa e Jp Morgan) fossero costrette a intervenire sarebbe un brutto segnale per il Paese. Illogico? Sì, ma potrebbe succedere.
Tra oggi e il 2012, l’Enel cambierà comunque pelle: sarà più piccola e più dinamica, sia per l’abbattimento del debito, sia, soprattutto per le dismissioni, preannunciate dal piano industriale, di attività “non core” per 12 miliardi. E qui nascono altri interrogativi: l’Enel, nonostante il bilancio brillante, non è immune dalla crisi finanziaria e deve vendere ai minimi ciò che ha comprato ai massimi. Nulla di scandaloso, migliaia di società in giro per il mondo sono nella stessa situazione: si sono indebitate nell’epoca del danaro facile per comprare e investire e ora si trovano a lavorare in economia in recessione.
La giustificazione, più che legittima, dell’Enel è che dal 2000 la legge l’ha costretta a dimagrire in Italia e crescere all’estero, ed è ciò che ha diligentemente fatto. E bene. Peraltro se il mercato nazionale delle famiglie non è abbastanza competitivo, o non competitivo come si immaginava, la colpa non è certo dell’Enel. Ma il punto resta: deve vendere. E tra le attività in via di cessione spicca l’Enel Green Power, costituita appena nel dicembre del 2008. Si tratta del leader italiano del settore con una potenza istallata di 4.300 megawatt prodotti attraverso impianti eolici, solari, geotermici, idroelettrici e a biomasse. È presente in Italia, Nord America, America Latina, Spagna, Francia, Grecia.
Enel Green Power non sarà ceduta attraverso la quotazione in borsa (sarebbe folle), ma attraverso trattativa diretta. Sarà interessante vedere se ad avanzare coraggiosamente l’offerta migliore sarà un gruppo italiano (Sorgenia, ad esempio) o straniero. Il fatto è, però, che la messa in vendita della società specializzata in energia verde segna la decisa scelta di campo dell’azienda verso il nucleare e l’abbandono, probabilmente per sempre, del campo delle energie rinnovabili. Non si tratta appena di una “obbedienza” alle linee guida energetiche del governo (azionista di maggioranza relativa), ma anche della presa d’atto che le energie verdi sono considerate un ottimo argomento per convegni, ma quando si tratta di mettere sul piatto della bilancia investimenti e ritorni economici, i grandi, almeno in Italia, passano la mano.
Probabilmente è un bene, nel senso che all’interno dell’Enel le energie rinnovabili avrebbero sofferto la restrizione degli investimenti dirottati verso il nucleare, mentre in mano a un gruppo più piccolo potranno godere di maggiore attenzione strategica. Sotto l’Enel il verde crepa, fuori dall’Enel il verde campa?