«Le piccole imprese? Con il -30 per cento degli ordini e un +30 per cento di insoluti la forbice di liquidità sta bruciando la disponibilità di cassa. Non si andrà avanti per molto». A dirlo è Giuseppe Morandini, vicepresidente di Confindustria e presidente del Consiglio centrale Piccola industria, che avverte: la tenuta sociale del paese dipende da quella del sistema delle pmi. E la liquidità, ora, è la prima emergenza da affrontare. Ecco perché venerdì, a Palermo, Morandini ha esortato le banche a servirsi dei Tremonti bond e, soprattutto, a fare presto. Lo Stato? Potrebbe fare subito la sua parte, saldando il debito di 70 miliardi. Ma a fare sistema devono e possono essere soltanto gli imprenditori. «Unire le tante piccole dimensioni e le piccole debolezze» potrebbe, in questa fase, rappresentare una svolta, che il governo ha pensato bene di agevolare nella manovra anticrisi.



Presidente Morandini, ha fatto scalpore una sua dichiarazione di qualche tempo fa: «servono subito misure urgenti – ha detto – le Pmi hanno solo due mesi di autonomia». La situazione è veramente così grave?

Sì, e due numeri lo sottolineano benissimo: le piccole e medie imprese stanno subendo un calo del 30 per cento degli ordini, e quindi di fatturato, e stanno facendo segnare un più 30 per cento di insoluti. Ci troviamo a dover far fronte ad una forbice di liquidità che sta bruciando la disponibilità di cassa. Altri due mesi si può reggere, ma se non vediamo all’orizzonte degli interventi decisivi, concreti in termini di liquidità, tante piccole imprese non ce la faranno. Non dimentichiamo che la piccola e media impresa italiana detiene l’80 per cento dell’occupazione nel paese, la cui tenuta sociale dipende dalla tenuta della piccola impresa.



La risposta italiana alla crisi economica si chiama Tremonti bond. A suo avviso sarà uno strumento efficace?

L’altro ieri, a Palermo, come Pmi abbiamo invitato le banche ad attingere tutte ai Tremonti bond disponibili e a girarli subito al sistema delle imprese. L’effetto leva potrebbe moltiplicare la singola cifra messa a disposizione delle banche dal governo, ridando ossigeno al sistema e procurando la liquidità necessaria.

Secondo lei esiste il rischio che la liquidità ottenuta vada solo alle grandi imprese?

La nostra proposta di un grande fondo di garanzia statale di almeno 5 miliardi serve a evitare un’eventualità come questa. È necessario istituire questo fondo di garanzia, al quale applicare la leva finanziaria, di uno a 15, che solitamente viene generata dai nostri Confidi. Questo darebbe la possibilità alle banche garantite dal fondo di immettere subito almeno 70-80 miliardi di liquidità nel sistema produttivo.



Come valuta soluzioni “su misura” basate sulla finanza di distretto, come bond, consorzi, holding con capacità di credito?

Credo che dobbiamo trovare delle vie d’uscita in grado di affrontare il problema nella sua complessità. Vanno benissimo misure come quelle dei bond di distretto, però è una soluzione solo parziale ai problemi che abbiamo. Purtroppo, questa crisi è trasversale a tutti i settori e a tutte le dimensioni aziendali. Ma colpisce in modo particolare quelle piccole aziende sane che, per colpe non loro, si trovano in grande difficoltà di liquidità. Un cliente che non paga, una domanda che cala in modo così drastico sono elementi che certamente non vanno imputati alle scelte imprenditoriali.

Un altro punto dolente è una fiscalità che risente dell’opposizione ideologica tra capitale e lavoro e che finisce per ostacolare lo sviluppo. Abolire i limiti alla deducibilità degli interessi passivi ai fini Irap potrebbe essere secondo lei una misura praticabile?

Senz’altro, e l’abbiamo chiesta anche sabato scorso. Potrebbe essere una misura temporanea per riuscire a superare questo momento di criticità. Certo è che la leva fiscale deve tramutarsi in interventi strutturali dove, come da tempo chiediamo, si premino i capitali che entrano in azienda e gli utili che vi rimangono.

Spesso le Pmi vengono accusate di non riuscire a fare il sospirato “sistema”. Allora chi può farlo? Devono essere in grado di farlo da sole o hanno bisogno dello Stato?

No. Le nostre sollecitazioni a questo scopo sono state e saranno sempre rivolte agli imprenditori. Fare aggregazione è una cosa che dipende da noi e che non si può né negoziare né delegare ad altri. L’imprenditore deve convincersi che la strada per uscire da questa crisi e andare verso un sistema più patrimonializzato e più forte, è quella di unire le tante piccole dimensioni e le debolezze – che derivano proprio dalle piccole dimensioni – delle tante piccole imprese che abbiamo. Su questo aspetto il governo ci ha dato senz’altro una mano, perché nel pacchetto anticrisi l’agevolazione fiscale per le aziende che nascono da aggregazioni è consistente. Ora sta a noi utilizzarla.

Che cosa deve fare lo Stato?

Pagare subito i debiti nei confronti delle nostre aziende, cioè l’ammontare dei 70 miliardi che la pubblica amministrazione ha accumulato in questi anni. Immetterli ora nel nostro sistema, pagando il dovuto, sarebbe un’iniezione di liquidità strepitosa.