Contrordine, la crisi non è poi così cattiva come sembrava e soprattutto durerà ancora relativamente poco. Per il capo della Fed, Ben Bernanke, infatti già dalla fine di quest’anno ci saranno segnali di ripresa. E la Borsa, come ricordava l’adagio del personaggio comico Carl Carlo Pravettoni, s’impenna.
I mercati festeggiano trascinati dai titoli bancari, a cui due notizie hanno messo le ali come nella pubblicità della bevanda energizzante: primo, Aig vede rosa e non avrà bisogno di altri soldi statali dopo quelli utilizzati per aiutare – a detta del management – grandi istituti come Bank of America e Wachovia. Secondo, Barclays ha annunciato profittabilità nei primi due mesi di quest’anno. Bingo.
Peccato che ormai le informazioni offerte a mercati e investitori da Aig abbiano la stessa credibilità di quelle offerte da uno sconosciuto alla fermata del bus: si tratta infatti della stessa azienda che due settimane fa ha battuto per l’ennesima volta cassa alla Fed – altri 30 miliardi di dollari, dei contribuenti, per un totale del salvataggio a quota 170 miliardi – salvo pagare ai propri manager bonus spaventosi per premiarli dei loro fallimenti. Barclays, poi, è la stessa banca che il giorno prima del trionfale annuncio occupava le prime pagine degli inserti economici dei domenicali inglesi poiché costretta a mettere sul mercato 5 miliardi di assets e attività operative per evitare di dover ricorrere allo schema di sostegno statale.
Insomma, c’è poco da stare allegri. Soprattutto quando invece di leggere solo i comunicati trionfanti delle banche si leggono anche i documenti ufficiali che circolano nella City. Nella fattispecie, il Banks Quarterly Bullettin della Bank of England. E cosa dice, per bocca del capo economista dell’istituto di Threadneedle Street, Spencer Dale? Semplicemente che in questo momento la tensione nel sistema finanziario sta toccando un picco di enorme pericolosità «visto che i rischi di nuove perdite e svalutazioni sta rendendo durissimo il clima attorno all’attività di rifinanziamento degli istituti bancari». Evviva.
Peccato che le brutte notizie siano solo all’inizio. Sempre stando al bollettino della Bank of England, infatti, il valore dei cds sul rischio di default degli istituti bancari mondiali ha toccato i livelli dell’ottobre 2008, ovvero dopo il crollo Lehman quando la percezione di un incombente effetto domino sull’intero sistema bancario era la norma: «Con un grande numero di istituti costretti ad ammettere nell’ultimo trimestre del 2008 pesanti perdite e svalutazioni, la percezione del rischio di controparte sta salendo di nuovo a picchi molto preoccupanti», concludeva Gale.
Insomma, c’è il forte rischio – ma ambienti della City parlano di quasi certezza – che un grande istituto bancario si in procinto di andare a gambe all’aria e debba essere nazionalizzato del tutto. Chissà se Ben Bernanke riceve il Banks Quarterly Bulletin? Per una volta, inoltre, mi trovo d’accordo con Giulio Tremonti: questa crisi non è la fine del mondo ma di un mondo. Come giudicare, altrimenti, la decisione della Borsa di Londra di quotare dalla prossima estate sul listino delle blue chips – l’Ftse 100 – i cfd, contratti derivati diffusissimi in Gran Bretagna poiché rispetto all’acquisto di titoli consentono di non pagare lo stamp duty, il cosiddetto “bollo reale”?
Ma cosa sono i cfd? Cfd è l’acronimo dall’inglese “Contract for Difference”, ovvero un contratto per differenza. Infatti, un cfd è un tipo di contratto in base al quale viene scambiata la differenza di valore di un certo titolo maturata tra il momento di sottoscrizione di un contratto e la chiusura di questa. Un mercato in crescita esponenziale che rappresenta il 40% degli scambi giornalieri nella City e che è destinato a sostituire nel medio termine il mercato dell’azionario, bloccato da volumi bassissimi, volatilità (nonostante ultimamente l’indice Vix sia sceso e di molto), book illiquidi, sovravalutazioni, assurdi bandi sullo shorting e mancanza di fiducia e trasparenza.
Perché quindi la City punta su questo mercato, qual è il suo plus operativo? Primo, i cfd rappresentano una nuova modalità operativa che consente di fare trading su azioni, indici, valute (il forex è ormai la next big thing di chi investe), commodities e opzioni. Il trading sui cfd non garantisce poi alcun diritto di acquisizione sul sottostante che rappresenta.
Operare con i cfd significa operare sulle differenze di prezzo dei contratti: in pratica si guadagna o perde in base alla differenza tra il prezzo di acquisto e il prezzo di vendita del sottostante, moltiplicata per il numero di cfd azionari o di contratti. Le posizioni aperte, long o short, comportano poi rispettivamente l’addebito o l’accredito di interessi calcolati su base diaria. Insomma, un nuovo modo di operare in un mercato sempre più difficile da decifrare ma in grado di offrire buone, a volte ottime, occasioni di guadagno. Almeno così la pensano nella City, dove nonostante la crisi il tempo lo si passa a cercare come fare business e non a piangere.