Bernanke, Presidente della Riserva federale statunitense, in un’inusuale intervista ha affermato che la ripresa è in vista nel 2010. In effetti, da qualche settimana, parecchi indicatori segnalano che la crisi sta “rallentando” sul piano globale.
Non è ancora il punto di inversione. Ma si può iniziare a scenarizzare con elevata probabilità che sarà alla fine del 2009. Pur con l’ondata recessiva ancora in fase di sfogo come un’alluvione devastante – in Italia, si teme, più che altrove – è, tuttavia, possibile già da ora inquadrare l’orizzonte della ripresa nel 2010/11 e chiedersi quali saranno i problemi e le soluzioni per renderla solida.
Il problema principale è che la recessione porterà a un forte incremento della disoccupazione. Le riprese possono avvenire senza riassorbimento dell’occupazione, come insegnano tanti esempi storici. Per esempio, negli anni ‘70 l’America arrivò al 10% di disoccupati, ma negli anni ‘80 si ridussero della metà. L’Europa restò per decenni con una disoccupazione media vicina al 10%, solo recentemente ridotta.
La differenza dipende dai modelli di welfare. Quello americano favorisce licenziamenti, ma anche ri-assunzioni veloci. Quello europeo (continentale) riduce la licenziabilità, ma non favorisce veloci ri-assunzioni. In questa recessione, la disoccupazione in America arriverà probabilmente all’11% (ora è verso l’8%) nella seconda metà dell’anno. La politica di stimolo e sostegno decisa da Obama non ha modificato la natura del modello americano. Pertanto, se la ripresa inizierà a girare nel 2010, il picco di disoccupazione potrà essere riassorbito in due o tre anni.
L’Europa, pur con sei mesi di scarto temporale, ha un andamento recessivo simile a quello americano. La disoccupazione, pur contenuta da varie forme di ammortizzatori, tuttavia è proiettata verso il 9 o 10% (la crisi della domanda globale toglie il mercato alle imprese dappertutto). Ma il rigido mercato del lavoro europeo non favorirà il veloce riassorbimento. Quindi in Europa c’è il rischio di un aumento dei senza lavoro a lunga durata. Già ora sarebbe opportuno pensare a come dare più flessibilità al mercato del lavoro europeo.
Il secondo problema è che difficilmente la locomotiva sino-americana che ha trainato la crescita globale nell’ultimo decennio si rimetterà in moto a piena forza. L’America ha bisogno di riparazioni strutturali, per esempio la ricostruzione del risparmio privato, e così il suo sistema bancario. Pertanto è probabile che viaggerà a mezza forza almeno per un triennio regolando in tal modo anche la velocità della crescita cinese.
L’Europa cresce in relazione all’assorbimento del suo export da parte di America e Cina e tale scenario implica un traino insufficiente per una forte ripresa dell’eurozona. O si accetta una stagnazione duratura europea, complicato dal rischio di elevata disoccupazione endemica, oppure si cambia il modello per produrre più crescita interna, ottenibile solo con la riduzione delle tasse e della spesa statale improduttiva.
Il terzo problema nella futura ripresa riguarderà la quantità del credito. Il sistema finanziario/bancario, quando sarà ristabilizzato, sarà meno propenso a finanziare operazioni a debito per la brutta botta presa. Più importante, c’è il rischio che regole eccessivamente restrittive riducano troppo tali operazioni per legge.
Se ciò accadesse il capitale diventerebbe meno abbondante per investimenti, consumi e, soprattutto, attività di impresa. L’America non farà questo errore, ma gli europei sembrano scatenati nel pretendere l’ingabbiamento dell’industria finanziaria. In conclusione, L’Europa è più a rischio del resto del mondo nello scenario di ripresa se non cambia profondamente la propria cultura di politica economica per gestire i problemi detti.