L’accordo tra Francia e Italia pone le premesse per il ritorno del nucleare nel nostro paese, ma da qui alla posa delle centrali la strada è ancora lunga. «Il governo? Faccia una buona informazione», dice l’ex presidente di Enel Chicco Testa. Per il quale il nucleare ha già avuto un merito: cacciare gli ambientalisti in un vicolo cieco. Perché – continua Testa – se l’effetto serra è il problema numero uno, tutti gli altri vengono di conseguenza. Ma «il punto più delicato resta sempre il permitting: la localizzazione, le reazioni dell’opinione pubblica, il rapporto con gli enti locali. Sorprende una certa immaturità politica».
Come ha accolto il protocollo di cooperazione firmato tra Italia e Francia?
L’accordo è positivo, soprattutto per quanto riguarda le prospettive di cooperazione tecnologica, che comunque era già avviata perché Enel già partecipa alla costruzione del nuovo reattore francese. Ora la cooperazione si rafforza e questo consentirà ad Enel di disporre di una delle migliori tecnologie in campo nucleare. Forse la stampa ha esagerato un po’ nel presentare l’accordo come l’inizio del nucleare in Italia.
Per quale motivo? Dovrebbe averne posto le premesse.
Perché è solo un accordo di cooperazione tecnologica, che non prevede la posa delle centrali. Occorre completare l’iter legislativo. Intanto il ddl è stato approvato in ritardo alla Camera e ora è al Senato; poi rimane il problema della localizzazione dei siti e dell’accettabilità da parte degli abitanti. Le cose da fare per iniziare una nuova filiera nucleare in Italia sono ancora tutte lì.
La crisi economica ostacolerà l’avvio del nucleare? Esso richiede una spesa non indifferente.
No, le due cose a mio avviso non sono incompatibili. Nel campo delle fonti rinnovabili oggi si ottengono finanziamenti con più difficoltà rispetto a sei mesi fa. Le condizioni finanziarie sono diventate più difficili per tutti, non solo per fare il nucleare. È vero che attualmente il prezzo del petrolio è sceso intorno ai 40 dollari, e che le fonti alternative al petrolio sono meno convenienti, ma non possiamo dipendere nelle nostre scelte energetiche dal prezzo del petrolio, che potrebbe facilmente tornare ai 100 dollari di metà 2007. Senza contare che potremmo sempre svegliarci una mattina con l’ennesima crisi del Caucaso.
L’accordo tra i due capifila, Edf e Enel, non comprometterà il libero mercato dell’energia nucleare nel nostro paese?
Penso proprio di no. Recentemente A2A ha detto che cercherà di mettere insieme un consorzio di altre imprese. Per raggiungere il 25 per cento di energia nucleare previsto dal governo servono più di10mila megawatt, mentre le quattro centrali annunciate dovrebbero produrre circa 6mila megawatt, quindi c’è spazio per altre operazioni. Si tratterà poi di capire se questi 10mila megawatt possono essere distribuiti su tecnologie tra loro concorrenti – l’Epr francese e la Westinghouse americana – o se invece ragioni di convenienza non ci suggeriscono di avere un’unica tecnologia, sfruttando gli effetti di scala.
Da dove dobbiamo aspettarci le incognite maggiori? Dall’iter regolativo o dall’opinione pubblica?
Il punto più delicato, a mio avviso, resta sempre il permitting: la localizzazione, le reazioni dell’opinione pubblica, il rapporto con gli enti locali. Sorprende una certa immaturità politica. Per esempio il neopresidente della Regione Sardegna ha detto un no assoluto al nucleare, quando è stato appena insediato anche grazie ad una campagna elettorale in cui si è fortemente impegnato Berlusconi. Ma nessuno pensa di fare il nucleare in Sardegna, per il semplice motivo che andrebbero potenziate enormemente le linee per portare nella Penisola l’energia prodotta.
Lei è stato ambientalista. Le posizioni ambientaliste, a parte le prese di posizione più ideologiche e preconcette, sembrano più morbide rispetto al passato.
Basti pensare che un esponente importante del movimento verde inglese, direttore internazionale di Greenpeace fino a due anni fa, si è “convertito” al nucleare. Lo stesso è stato per Patrick Moore, uno dei fondatori dello stesso movimento, per James Lovelock, guru dell’ambientalismo mondiale. L’impressione è che gli ambientalisti si siano imprigionati un po’ con le loro mani: se dici che l’effetto serra è il problema numero uno, allora tutti gli altri vengono dopo. Quali opzioni rimangono? Volere le fonti alternative al posto del nucleare? Io direi piuttosto: sì alle fonti alternative, ma al posto del carbone.
Che ne pensa del mix energetico al quale lavora il governo?
Scajola mi trova d’accordo: 50 per cento di combustibili fossili perché per ora non possiamo farne a mento, 25 per cento di rinnovabili e 25 per cento di nucleare. Sarebbe un grandissimo passo in avanti. Oggi le rinnovabili sono intorno al 15-16 per cento e la maggior parte viene dai vecchi impianti idroelettrici ormai ampiamente ammortizzati. Le nuove rinnovabili sono abbastanza costose, ma c’è la ragionevole speranza che i costi scendano abbastanza rapidamente.
Uno dei problemi più delicati, come lei stesso ha accennato, rimane quello dei siti. Come dovrebbe muoversi il governo?
Primo: non far diventare il nucleare una bandiera politica, cercando invece il massimo di convergenze. Secondo: mettere a punto un buon pacchetto di compensazioni. Io ospito l’impianto, ma che ci guadagno? Questo per la nostra mentalità mi sembra molto importante. La Francia si è mossa molto bene: lì addirittura l’ultima centrale nucleare è stata contesa tra due siti diversi. Senza illudersi che questo possa avvenire anche da noi, occorre – ed è il terzo consiglio – fare molta opera di pacata informazione, per dire ai cittadini che le centrali non saranno dei “mostri”, ma degli impianti tecnologicamente avanzati.