Nella settimana che va a chiudersi non sono mancati i dati economici negativi, ma si è delineata finalmente anche qualche nota positiva. Sono stati anche presi alcuni buoni provvedimenti per aiutare le nostre Pmi in affanno. Vediamo in successione i dati e i provvedimenti.
Per quanto attiene al quadro macroeconomico internazionale, il Fondo Monetario Internazionale ha rivisto pesantemente al ribasso le sue stime sulla crescita dell’economia globale. Secondo queste previsioni, per la prima volta in 60 anni si avrà quest’anno una contrazione del Pil mondiale con un calo compreso «tra lo 0,5 e l’1,5%», mentre la riduzione del prodotto degli Stati Uniti dovrebbe essere del 2,6%, quella dell’Euro-area del 3,2% e quella del Giappone del 5,8%. Accanto a questo quadro fosco per il 2009, il Fondo monetario vede però anche una «ripresa graduale» quantificata in una crescita del Pil mondiale tra l’1 e il 2% prevista per il 2010.
In riferimento all’Italia, l’Istat ha comunicato l’ennesimo calo della produzione industriale, che a gennaio è diminuita dello 0,2% rispetto a dicembre e l’indice corretto per i giorni lavorativi è diminuito del 16,7% rispetto a gennaio 2008 (con il settore auto che nello stesso mese di gennaio riduce la produzione addirittura del 54,6%, contro il -54,1% di dicembre e il -55,8% di novembre).
Per quanto attiene al commercio con l’estero, considerando l’interscambio complessivo, nel mese di gennaio 2009, rispetto allo stesso mese dell’anno precedente, le nostre esportazioni sono diminuite del 25,8%. Il saldo commerciale, pur negativo per 3.585 milioni di euro, è risultato tuttavia in miglioramento rispetto al disavanzo di 4.105 milioni di euro dello stesso mese del 2008.
Fin qui i dati complessivi, ancora marcatamente negativi ma finalmente con qualche spiraglio di luce. In questo quadro, bisogna dare atto alla Confindustria, e segnatamente alla Presidente Emma Marcegaglia e al Presidente della Piccola Industria Giuseppe Morandini, di essere riusciti, sia attraverso il Convegno di Palermo sia attraverso una serie di interventi assai incisivi, a riportare le nostre Pmi al centro del dibattito di politica economica. I risultati raggiunti attraverso questa intensa campagna mediatica sono complessivamente positivi, ma vanno tuttavia ancora valutati con prudenza in conseguenza dei molti nodi che restano ancora da sciogliere.
Innanzitutto, in riferimento al problema oggi gravissimo delle difficoltà che incontrano le piccole attività imprenditoriali nell’accesso al credito, va registrato con soddisfazione l’annuncio che il Governo approverà a breve un fondo di garanzia, inizialmente dell’importo di 1,3 miliardi di euro poi ampliati a 1,5 miliardi, che dovrebbe garantire circa 60-70 miliardi di euro di credito per mezzo della leva finanziaria che sono in grado di generare i confidi.
È un risultato concreto che certamente allevia una sofferenza forte dei nostri piccoli imprenditori perché in effetti tutti i dati confermano che il tasso di crescita sui dodici mesi del credito bancario alle Pmi è calato sistematicamente dal settembre del 2008, ovvero da quando la crisi ha cominciato a mordere l’economia in modo significativo. E il calo è stato addirittura drammatico in riferimento alle piccole e piccolissime imprese.
Se è vero, come ha correttamente ricordato lunedì scorso il Governatore della Banca d’Italia Draghi durante la sua audizione alla Commissione Finanze della Camera, che è «essenziale che l’analisi delle condizioni del credito a livello locale non sconfini in un ruolo di pressione sulle banche che spinga ad allentare il rispetto di criteri di sana e prudente gestione nella selezione della clientela», è però anche vero che non tutte le aziende indebitate sono uguali tra loro, e gli istituti di credito devono essere in grado di capire se l’azienda a cui hanno erogato credito è decotta oppure se il debito è stato contratto per accrescere gli investimenti e favorire la capacità innovativa futura.
È necessario quindi che le banche, in particolare quelle di grandi dimensioni, riescano a compiere un salto culturale nella valutazione del merito del credito, ricordando che gli aspetti relazionali e il radicamento nel territorio sono essenziali per una corretta attività di erogazione. Dipende da questo sforzo anche il successo di tutta l’operazione legata ai Tremonti bond.
C’è poi l’annosa questione del recupero dei crediti che le Pmi hanno nei confronti della Pubblica Amministrazione. A questo proposito ci sono varie questioni da approfondire. Innanzitutto non è chiaro a quanto ammontino effettivamente questi debiti: secondo il ministro Tremonti ammonterebbero a circa 30 miliardi di euro, ma secondo Draghi sarebbero circa 2,5 punti percentuali di Pil, vale a dire 35-40 miliardi di euro. Secondo alcune stime di Confindustria sarebbero addirittura 70 miliardi. Non è poi nemmeno chiaro quali siano i vari settori della PA (lo Stato, le Province, i Comuni, le Asl, ecc.) ad essere maggiormente debitori verso le Pmi.
In tanta confusione quello che sembra tuttavia fuor di dubbio è che se i pagamenti della PA invece di avvenire entro 60 o 90 giorni vengono onorati dopo 200 o 300 giorni, il danno che ne ricevono le imprese è immenso (e può in alcuni casi essere addirittura fatale per la sopravvivenza stessa dell’attività). Sappiamo che il Ministro Tremonti vorrebbe che la Sace, la società che assicura le imprese italiane all’estero, garantisse questi pagamenti alle imprese.
Per rendere operativa questa soluzione, tuttavia, i problemi da risolvere sono ancora parecchi, non ultimo quello di dotare la stessa Sace di una struttura in grado di svolgere questi compiti. La questione deve però essere risolta rapidamente, anche perché un rapido pagamento sarebbe di grande sostegno alle imprese e allo stesso tempo non sarebbe di aggravio ai conti pubblici.
Ci sia consentita infine una nota relativa alla cultura di impresa. Abbiamo dato merito a Confindustria per essere riuscita a conseguire alcuni concreti risultati per le Pmi, soprattutto in virtù della potenza mediatica che è riuscita a mobilitare. Tuttavia l’aver intitolato il Convegno di Palermo “Oltre la crisi, Pmi classe dirigente”ci sembra dimostri poca dimestichezza con le vere aspirazioni dei nostri piccoli imprenditori che, a nostro avviso, non desiderano affatto improvvisarsi dirigenti ma vogliono solo essere messi in condizione di fare bene il loro mestiere. Piuttosto vorrebbero che chi deve dirigere, lo faccia avendo a cuore i loro interessi, e non solo quelli della grande impresa o della grande banca.