La Borsa di Milano sta recuperando in questi giorni quello che aveva lasciato sul terreno dall’inizio dell’anno. Il trend di piazza Affari è migliore, in questo “rimbalzo” prolungato che dura da dopo l’11 marzo, di quello di tutti gli altri mercati del continente. Ma comunque, da uno sguardo generale, si capisce che è ritornata un poco di fiducia e che si sta ripetendo un vecchio detto, quello che si dice da anni: “La Borsa crolla ma non muore mai”. Il problema che si pone oggi però, di fronte a questa ripresa dei mercati, è se si intraveda finalmente e realmente “la luce in fondo al tunnel”, se si stia assistendo all’inizio dell’inversione di un ciclo negativo.



Si dice, in genere, che proprio le Borse, i mercati, anticipino, nel bene e nel male, gli stessi cicli economici. Così come la crisi finanziaria mondiale ha “galleggiato” per un anno tra una sponda e l’altra dell’Atlantico, prima di investire pesantemente l’economia reale, può anche essere possibile che il riordino che si sta tentando di fare sul sistema finanziario, possa contribuire non solo a ridare fiducia, ma a stimolare di nuovo la domanda nell’economia reale.



Al solito, c’è un grande dibattito in corso tra gli analisti e gli accademici Mentre Ben Bernanke e Timothy Geithner preparano piani di “gigantesca” iniezione di liquidità per muovere il mercato del credito, inserendo anche nuovi controlli nelle attività finanziarie, ci sono due terribili “cassandre” che quasi picchiano i pugni nel loro pessimismo e nella critica alla scelte dell’amministrazione americana di Barack Obama. Il premio Nobel per l’economia, Paul Krugman, insiste sul suo sito, e nella interviste che rilascia, a suggerire la nazionalizzazione delle banche americane.



L’altro personaggio è Nouriel Roubini, che previde con largo anticipo la crisi mondiale e che ora ritiene inutili e dannosi gli interventi predisposti. Allo stesso tempo i dati (che nelle passate settimane sono stati un poco enfatizzati in negativo) non dipingono ancora un orizzonte roseo, ma duri problemi da affrontare per tutto questo 2009. Orientarsi tra opposte considerazione di personaggi stimabilissimi è veramente problematico. Resta certamente un fatto. Dopo l’intervento dei governi (e non si capisce perché si sia aspettato tanto tempo a intervenire) un po’ di fiducia è veramente ritornata.

E’ dopo l’intervento statale che la più grande banca del mondo, Citigroup, è balzata dal valore di un dollaro a quello di tre dollari per azione (di certo senza far dimenticare che non troppo tempo fa stava a 57 dollari per azione). Lo stesso cuore del rimbalzo di questi ultimi venti giorni è guidato dai titoli bancari e finanziari, dopo che negli Stati Uniti e in vari Paesi europei si è cominciato a puntellare ( o a nazionalizzare) il capitale delle banche e si è affrontato, una volta per tutte, il problema dei cosiddetti asset tossici con l’ipotesi della “bad bank” oppure di un ente (come Il Public Investiment negli Stati Uniti) che rilevi questi titoli, gli attribuisca un valore e li contabilizzi non con il sistema delle stime approssimative. Insomma, nel momento in cui Governi hanno messo in atto delle manovre per chiarire, nel limite del possibile, i bilanci delle banche, una certa fiducia è ritornata. Tutto questo è possibile notarlo anche in Italia.

Da quando Unicredit e Intesa-San Paolo hanno chiarito di fronte agli analisti i loro conti e le loro prospettive, valutando anche la sottoscrizione dei cosiddetti Tremonti-bond, in piazza Affari si è ricominciato a comprare i titoli delle due grandi banche italiane. Oggi si guarda con apprezzamento a Banco Popolare, che sembrava quasi sull’orlo della catastrofe, anche perché è stata la prima banca a sottoscrivere i Tremonti-bond e a fare piena luce sui suoi bilanci. Si può dire che questa chiarezza sia stata premiata dai mercati, al momento.

Tuttavia anche questo intervento dei governi e la stessa strada della chiarezza nei bilanci delle istituzioni finanziarie, non può stabilIre se il “rimbalzo” di questi giorni sia un autentico consolidamento. Non si può escludere ancora che ci troviamo solo di fronte a una parentesi, a un periodo ben interpretato dai traders che può esaurirsi nel giro di un mese. Ogni previsione, al momento, va rinviata a un periodo meno concitato di questo e soprattutto dopo i grandi appuntamenti internazionali.