Sembrava che il piano casa proposto da Berlusconi potesse essere approvato rapidamente, per decreto. Poi le perplessità del Quirinale, le obiezioni sulla costituzionalità e lo stop, dato da ragioni di prudenza e dalla necessità di trovare un accordo con le Regioni. Fatto sta che l’approvazione del piano è stata rinviata. Un tavolo tecnico dovrebbe proporre stamane le sue conclusioni in conferenza Stato Regioni, dove si attende finalmente un accordo. Del piano casa ilsussidiario.net ha parlato con Carlo Masseroli, assessore allo Sviluppo del territorio del Comune di Milano.
Assessore, il piano casa di Berlusconi ha subito uno stop, dato dalla necessità di trovare un accordo con le Regioni. Cosa si attenda dalla riunione di oggi?
Innanzitutto penso che la spinta data dalla proposta di Berlusconi sia assolutamente positiva, perché ha messo le Regioni intorno al tavolo con una prospettiva nuova. Mi auguro che l’esito che si avrà non sarà un freno rispetto alla proposta iniziale di Berlusconi, quanto un indirizzo forte su cui le Regioni potranno legiferare a loro volta, secondo le competenze di ciascuno.
Ha parlato di una “prospettiva nuova” aperta dal piano casa. In che cosa consiste?
Il piano casa contempla una proposta di merito prettamente urbanistico, ma contiene anche un risvolto culturale più ampio. Il fatto che il premier abbia detto: aumentiamo le volumetrie, demolendo e ricostruendo ciò che c’è, e riduciamo i vincoli nell’iter amministrativo, vuol dire fondare lo sviluppo del territorio sul fatto che i soggetti privati interessati possano farsi promotori di un’ipotesi positiva.
A cosa si riferisce esattamente?
Al fatto che tutto il sistema di sviluppo urbanistico delle città ha fondato la definizione dell’interesse pubblico sul limite dato al privato: un preconcetto, che si è tradotto in prassi amministrativa, secondo il quale il privato, che ha la sua area, meno fa è meglio è, perché se fa, lo fa certamente male. Ecco perché lo schema è fortemente innovativo.
E dal punto di vista urbanistico?
La demolizione e ricostruzione dell’immobile su canoni di risparmio energetico consentirebbero a chi costruisce di avere un 35 per cento in più di volumetria. E poi un’altra cosa molto importante: non consumiamo territorio, ma costruiamo meglio ciò che è già costruito.
Il piano casa lanciato dal presidente del Consiglio per rilanciare l’economia si aggiunge al “piano di edilizia residenziale pubblica” previsto nella manovra dell’estate scorsa, alla quale l’accordo raggiunto in conferenza unificata il 12 marzo scorso ha dato il via libera. Questo cosa vuol dire per Milano?
Innanzitutto va detto che ciascuna Regione giocherà la sua partita. Fare un piano casa a Milano vuol dire generare le condizioni perché si possano costruire immobili a prezzi accessibili, diciamo 2 mila euro al mq per la vendita e 500 euro per l’affitto. Abbiamo già fatto approvare dal Consiglio comunale le modifiche al Documento di inquadramento delle politiche urbanistiche di dicembre, generando un 35 per cento di volumetrie di interesse pubblico, da destinare all’housing sociale.
Il piano di Berlusconi prevede anche forti semplificazioni…
Un altro tema interessante per Milano introdotto da Berlusconi è quello dell’indifferenza dell’uso dei suoli. Cioè delle destinazioni d’uso. A Milano ci sono “trenta Pirelloni” di uffici vuoti e vincolati. Si tratta in molti casi di edifici vecchi, fuori mercato, da ristrutturare e cablare. Il costo di ristrutturazione molto elevato e i percorsi molto lunghi per cambiarne la destinazione d’uso potrebbero far diventare l’operazione sconveniente, ma togliere il vincolo vorrebbe dire incentivare il cambio di destinazione. Anche a vantaggio dell’edilizia residenziale pubblica.