L’amministratore delegato di Ferrovie dello Stato Holding, Mauro Moretti, ha affermato, davanti alla Commissione Parlamentare, che la società quest’anno dovrebbe chiudere in utile per qualche decina di milioni di euro.
Su come è stato fatto il risanamento sono già stati espressi i dubbi, ma è notizia di lunedì che Trenitalia potrebbe essere suddivisa in due società: una compagnia profittevole, che troverebbe finanziatori privati e una “Bad Company” che avrebbe invece il compito di gestire le tratte in perdita. Sull’inserto economico del lunedì del “Corriere della Sera” dello scorso 2 marzo sono riportati dati sconcertanti: 81 treni su 88 in servizio universale, esclusi locali e regionali, sono in perdita.
Il servizio di Trenitalia, a esclusione del settore merci, che sopravvive in concorrenza con altri operatori solo grazie ai sussidi infragruppo, può essere suddiviso in media-lunga percorrenza, regionale e alta velocità.
La terza parte riesce già a stare in equilibrio, come affermato dalle stesse Ferrovie ed è per questo motivo che si vorrebbe una parziale privatizzazione.
E la parte restante del gruppo, la cosiddetta bad company? È giusto separare in due società e soprattutto quali benefici potrà portare una tale separazione?
Innanzitutto è sbagliato definire la seconda parte aziendale come “cattiva compagnia” in quanto tutta l’azienda non è gestita in maniera impeccabile; infatti in generale il gruppo ha dei costi di gestione più elevati rispetto agli operatori ferroviari britannici e la differenza tra “parte buona” e “parte cattiva” è data solamente dal fatto che la domanda è maggiore per l’alta velocità rispetto alla media lunga percorrenza.
Ferrovie dello Stato riceve già diversi miliardi di euro in sussidi e contributi dallo Stato e il fatto che abbia 81 delle 88 tratte in perdita può essere anche dovuto al fatto che l’azienda non sia efficiente; la poca efficienza è già intuibile dal pricing attuato da Trenitalia.
I treni sono troppo vuoti, hanno un load factor inferiore al 50%, e invece di agire con la leva del prezzo, inserendo una tariffa molto variabile, si pensa a diminuire la flessibilità delle tariffe stesse. In questo modo anche se ci fosse domanda potenziale, Trenitalia con il proprio sistema di prezzi non è in grado di soddisfarla. I dati parlano di treni con meno di 100 passeggeri e il dubbio che non si utilizzino i metodi necessari per riempire i posti è molto forte.
L’esempio può arrivare dai vettori low cost nel settore aereo; circa il 60% dei viaggiatori di queste nuove compagnie aeree sono nuovi viaggiatori che non avrebbero mai viaggiato con le compagnie tradizionali; e se nascesse un operatore ferroviario low cost in grado di agire sulla leva dei prezzi?
Per le tratte in perdita inoltre c’è da chiedersi se il prezzo di produzione non sia troppo elevato, perché di sussidi Ferrovie ne riceve non pochi.
Ferrovie dello Stato riceve oltre 4 miliardi l’anno dallo Stato, senza contare i continui aumenti di capitale effettuati nell’ultimo quinquennio.
Nel 2007 dalle sole Regioni ha avuto contributi per il servizio locale per oltre 1,6 miliardi di euro, in aumento di 289 milioni di euro rispetto al 2006. Nel 2007 tutti i sussidi sono aumentati passando da circa 3,5 miliardi a 4,3 miliardi di euro. Nel 2008, molto probabilmente i sussidi sono aumentati ancora.
Vi è una stretta correlazione tra andamento dei sussidi e contributi dati dalle dallo Stato e i bilanci di Ferrovie; quando i sussidi diminuivano, i conti sprofondavano, mentre quando i sussidi sono di nuovo aumentati, il bilancio ha cominciato a migliorare.
Bisogna stare attenti a non confondere l’efficienza della gestione con i prezzi dei biglietti. Il prezzo del biglietto in Gran Bretagna è più elevato che in Italia, per il semplice motivo che oltre il 70% del biglietto è pagato dall’utilizzatore. In Italia i prezzi sono più bassi per il semplice motivo che non è il consumatore a pagare il biglietto, ma il contribuente, con una maggiore tassazione.
L’efficienza e i costi di gestione rimangono più bassi in Gran Bretagna, dove esiste concorrenza tra le compagnie ferroviarie, così come succede nel trasporto aereo; il consumatore deve avere maggiore informazione e potrebbe fare più fatica a trovare un prezzo scontato, ma questo è il mercato. Se si vogliono costi più bassi è necessario che ci sia una sana competizione tra aziende, anche ferroviarie.
In Italia non c’è una competizione tra aziende ferroviarie, tranne un poco nel settore merci internazionale e la mancanza di efficienza che ne deriva non è pagata tanto dai consumatori, quanto da tutti i contribuenti.
Non bisogna neanche confondere la bad company dalla buona compagnia; paradossalmente anche se l’alta velocità producesse dei notevoli utili, potrebbe essere gestita peggio della “bad company” in termini di costi. Non è l’utile che permette di giudicare l’efficienza di gestione, perché i due mercati di riferimento sono estremamente differenti.
La privatizzazione parziale di Trenitalia potrebbe non portare per forza a un miglioramento di gestione, perché fin quando la compagnia non si troverà a competere con dei reali concorrenti nel trasporto ferroviario non avrà lo stimolo a migliorare; per questo è necessaria una vera separazione tra gestore della rete, Rete Ferroviaria Italiana e operatore ferroviario dominante, Trenitalia, entrambe possedute al 100% da Ferrovie dello Stato Holding. Questa società è totalmente pubblica, al 100% in mano al Ministero dell’Economia.
Prima di pensare a una separazione tra “Trenitalia buona” e “Trenitalia cattiva”, sarebbe bene dividere realmente i destini di RFI e Trenitalia, buona o cattiva che sia; si potrebbe privatizzare totalmente Trenitalia, in modo da effettuare totalmente la separazione dalla rete, ma l’amministratore delegato di Ferrovie dello Stato non ha mai preso in considerazione questa ipotesi.
Un’ultima analisi derivante proprio dalla gestione comune di RFI e Trenitalia da parte di Ferrovie dello Stato Holding: dall’articolo su “Corriere Economia” si evince che nell’alta velocità, cioè la parte “a mercato”, Trenitalia aumenterà l’offerta del 42%, mentre i passeggeri aumenteranno del 29%, con una diminuzione del load factor di quasi 9 punti percentuali.
Se tali dati dovessero essere confermati dall’azienda, si potrebbe pensare a una condotta anti-concorrenziale da parte di Trenitalia; quale compagnia di trasporto prevede di diminuire il proprio load factor?
Solo quella che ha necessità di occupare le migliori tracce orarie, prima che entrino i concorrenti nel mercato. Aumentando l’offerta e diminuendo il load factor al contempo, si alzano barriere all’entrata molto elevate.
Siamo sicuri che l’alta velocità sia davvero una good company o forse è semplicemente un monopolista che ha la possibilità di aumentare l’offerta anche con soldi pubblici per limitare la concorrenza?