La crisi “morde” l’economia reale. Anche la stabilità sociale scricchiola e rischia di importare nuovi modi di pressione antilicenziamento, anche tramite il sequestro di manager di imprese.

Ottimisti e pessimisti si contendono le previsioni sull’uscita dalla crisi. Circa 500 mila persone rischiano di “stare a casa” nell’arco dei prossimi mesi. È ora di reagire velocemente anche perché il timore di perdere il posto di lavoro è percepito come momento catastrofico per la perdita di reddito, frena i consumi e aumenta la sfiducia nel sistema.



Bisogna dare discontinuità alla formula imprenditoriale classica. La proposta è semplice e lineare: creiamo imprese sociali non profit “ex lege” (L. 118/05, D.Lgs. 155/06 e i decreti attuativi della G.U. dell’11/04/2009). La storia economica e sociale ci dice che nei momenti di crisi la forma d’impresa partecipata, sia come istituto giuridico-economico sia come modello gestionale, è stata una via d’uscita e di reazione. Oggi le imprese sociali non profit “ex lege” possono essere delle “saving company”. Si possono attivare sperimentalmente per recuperare posizioni di lavoro che altrimenti, dopo la cassa integrazione guadagni, andrebbero alla deriva. E si affronterebbe la crisi con maggiore ottimismo. Possono essere spin-off di “imprese for profit in crisi” per tutelare i lavoratori che sono in procinto di perdere o hanno già perso il posto di lavoro nell’ambito delle imprese for profit. Pensando anche al dopo crisi e mantenendo la continuità lavorativa e di brand che altrimenti rischierebbe di perdere valore e mercato. Supportare la competitività e cercare mercati aggiuntivi e innovativi rispetto all’esistente. Con il vantaggio di avere una situazione aziendale che può stare in equilibrio gestionale a prezzi competitivi, perché i costi di gestione e produzione sono inferiori rispetto a quelli della formula imprenditoriale tradizionale che deve massimizzare il profitto per distribuirlo ai conferenti di capitale. Le nostre imprese sociali-saving company non distribuiscono utili, mantenendo però un equilibrio economico finanziario che stabilizza l’operatività. L’alternativa, secondo la formula imprenditoriale tradizionale, potrebbe essere quella di chiudere l’azienda in crisi “in toto” o in parte.



L’impresa sociale non profit è “veicolo imprenditoriale” privato, di “produzione e scambio” ed è non profit. Può essere soggetto giuridico del libro I e V del Codice civile nonché cooperativa sociale e loro consorzi ed enti religiosi. Ed assume il ruolo di saving company quando svolge il ruolo di imprenditorialità reale e, “ex multis”, quando esercita attività di impresa al fine dell’inserimento lavorativo di soggetti che siano lavoratori svantaggiati. E il «lavoratore svantaggiato» secondo il regolamento della U.E. citato nel D.Lgs. 155/06, è anche il disoccupato e l’inoccupato.



Sarebbe quindi possibile sperimentare imprese sociali intese come Spa o srl che non distribuiscono dividendi per alcuni anni, ma che in seguito, se ben gestite, possono, eventualmente, trovare sbocchi di vendita per gli asset azionari.

Ma dove potrebbero operare queste imprese sociali? In settori a valenza sociale ed integrativa all’attività della for profit di riferimento (per esempio per continuare le politiche di conciliazione al femminile e per mantenere il rapporto fra imprese e occupati e cogliere il momento della ripresa). E in settori meno colpiti dalla crisi (per esempio servizi turistici, food and beverage a “brand” di tradizione locale o altri ove è più facile la conversione professionale), essere protagoniste del marketing di territorio in tutte le sue sfaccettature.

Ugualmente, in settori di nicchia indispensabili per i nuovi stili di vita e di consumo ai quali dovremo adattarci (come le energie rinnovabili) ed in quelli non delocalizzabili, a basso impatto ambientale e a km0. Nella creazione di spin off che presidiano linee di prodotti/servizi senza griffe o sottomarca per mantenere o sviluppare quote di mercato aggiuntive, oppure prodotti/servizi white label o private label (come i marchi privati della grande distribuzione), ed inoltre start up e sviluppo di imprese specializzate nel “low cost”. E svolgerebbero anche una funzione di riqualificazione professionale che permetterebbe di cogliere la ripresa del dopo crisi in presa diretta, con rapidità ed efficacia.

In conclusione, un modello imprenditoriale di azienda non profit che sviluppa una “concertazione equilibrata” fra i dipendenti, l’impresa for profit, le istituzioni pubbliche. In una logica “multistakeholders”.