Onore al merito, il titolo più azzeccato lo ha fatto “il Foglio” riferendosi alla “crisi del partito della crisi”, sabato 18 aprile. È vero che siamo ancora in tempo di recessione economica e che gli effetti della crisi finanziaria sono ancora in parte da scontare.
Il 2009 sarà un anno tutt’altro che facile e le previsioni sulla disoccupazione e la crescita non sono affatto confortanti. Ma è anche vero, e sarebbe superficiale non considerarlo, che il rally della Borse mondiali, cominciato dopo l’11 marzo, non si può ritenere solo un “fuoco di paglia”, un periodo di realizzazioni dove i traders hanno fatto grandi affari.
L’indice S&P Mib di piazza Affari è ritornato ampiamente sopra i 18mila punti e se si guarda al saldo dall’inizio dell’anno si può valutare la perdita complessiva a un 4 punti e mezzo in percentuale. Se si considera che, tra la fine di febbraio e la prima decade di marzo, si registravano perdite intorno al 25%, si può almeno affermare che c’è stata una significativa inversione di tendenza alla Borsa di Milano, e in generale su tutte le piazze borsistiche del mondo.
Occorre a questo punto dire che l’azione dei governi ha ottenuto in parte l’impatto sperato. Al momento non si può affermare che banche e assicurazioni (il “cuore malato” della grande crisi finanziaria mondiale) siano riuscite completamente a ristabilire un clima di fiducia con imprese, clienti e risparmiatori.
Ci sono ancora questioni problematiche sul mercato del credito e i criteri di finanziamento sono diventati “molto accorti”, a volte “occhiuti” nei confronti delle imprese. Ma è pur vero che le iniezioni di liquidità operate dai governi e dagli organismi internazionali, le garanzie degli Stati nei confronti dei risparmiatori, l’intervento dei governi nel capitale stesso delle banche hanno infranto un muro di diffidenza che aveva creato una volatilità inquietante e quasi una autentica fuga dalla ”voglia di rischio” sul mercato azionario.
A conti fatti e a grandi linee, se si paragona l’atmosfera di sfiducia e di pessimismo in mesi come ottobre e novembre 2008 (momento più acuto della crisi finanziaria sia negli Stati Uniti che in Europa) e la “gelata” di inizio 2009, a quella di tutto il mese a cavallo tra metà marzo metà aprile 2009, si può dire che ci si trova quasi in un mondo diverso, dove non si afferma più la “morte del capitalismo”, su cui sono stati scritti persino “libri al volo”, ma solo la fine di un sistema finanziario mondiale anarchico e sregolato, dove gli intermediari finanziari (grandi gruppi bancari in primo luogo) avevano quasi inventato una sorta di supermarket, vendendo prodotti di ogni tipo in cui si
poteva fare grande valore aggiunto.
Il pessimista Paul Krugman (che pure vede segnali di fuoruscita dalla recessione negli ultimi mesi di quest’anno) ha detto recentemente in un’intervista che «il lavoro delle banche dal 1931, per circa sessant’anni, è stato molto noioso, ma ha garantito una certa stabilità. Oggi bisognerà che le banche ritornino a essere noiose». Krugman insiste sulla nazionalizzazione delle banche americane, ritenendole al limite dell’insolvenza, come del resto ritiene un finanziere come George Soros, ma probabilmente in questo caso eccede in pessimismo.
In realtà, la “voglia di rischio” e la ripresa stessa dei titoli finanziari nelle Borse europee e americane è avvenuta progressivamente dopo l’11 marzo, quando nell’imminenza del G20, sia americani ed europei si sono ritrovati d’accordo su una nuova regolamentazione della finanza mondiale, con una nuova disciplina per hedge fund, “paradisi fiscali”, shadow banking e sulla ricerca di una soluzione realistica di fronte all’oceano dei titoli tossici prodotti negli anni della finanza allegra.
Al di là di tutte le discussioni sui cicli economici, sulla capacità di governare le crisi con la macroeconomia, la risposta dei mercati è arrivata nel momento in cui si è affrontato il problema che molti in questi anni avevano denunciato. E cioè l’eccessiva disinvoltura con cui ci si muoveva sul mercato del credito e della cosiddetta finanza innovativa.
Ora, se i mercati dopo l’11 marzo hanno fatto quello che si dice in gergo uno “zoccolo”, una base con valori più credibili e accettabili, è venuto il momento per i governi e per i grandi organismi internazionali finanziari di passare a una seconda fase di intervento. Le indicazioni condivise del G20 non possono restare come una “carta di intenti”, una sorta di “nuova costituzione” generica del sistema finanziario mondiale.
Adesso è arrivato il momento di entrare nei dettagli e di stabilire correttamente e concretamente le soluzioni precise per la collocazione dei titoli tossici, così come bisogna trovare la disciplina adatta nei confronti dei “paradisi fiscali” e per gli altri strumenti finanziari che hanno provocato la crisi sconvolgendo la funzione tradizionale della banca e di tutti gli intermediari finanziari. Se il superamento della crisi è dovuto a una riconquista di fiducia, i governi di tutto il mondo non possono mancare questo nuovo e decisivo appuntamento.
È probabile che, viste le dichiarazioni di molti esponenti del mondo politico ed economico, ci siano speranze fondate che dalle dichiarazioni si passi ai fatti. Se i meccanismi della finanza riprenderanno a funzionare il rally delle Borse cominciato l’11 marzo potrà continuare, con i suoi andamenti fisiologici, ma senza picchi di discesa.
Allo stesso tempo, se è vero che i mercati finanziari anticipano in genere la ripresa dell’economia reale, si può immaginare uno scenario dove, dopo un altro trimestre negativo e un terzo trimestre di stagnazione, ci si avvii a un ultimo trimestre del 2009 con un buon segnale di inversione di tendenza e la speranza che il peggio sia alle spalle.