Il primo a dirlo, con tutte le cautele del caso, è stato il ministro Tremonti: il pericolo di una caduta delle Borse e di un peggioramento ulteriore della crisi è scongiurato. Insomma, il fantasma di un’apocalisse finanziaria si allontana. E il ministro del Welfare Sacconi ha esortato le imprese a «non licenziare» e a far ricorso ai contratti di solidarietà per contenere la disoccupazione. Intanto, Emma Marcegaglia ha dichiarato che la situazione può migliorare da luglio. Fatturato e ordini per ora hanno smesso di scendere e le esportazioni hanno segnato a febbraio +3,5%. Non sono segni inequivocabili di ripresa, ma – dicono a Viale dell’Astronomia – legittimano un cauto ottimismo. L’opinione di Guido Gentili, editorialista de Il Sole 24 Ore.
Negli ultimi giorni sono stati resi noti dati economici che sembrano essere decisamente confortanti. Come dobbiamo interpretarli?
Innanzitutto facendo riferimento all’evoluzione della congiuntura internazionale. Io metterei in rilievo principalmente tre fatti: il primo è la tenuta e la ripresa del mercato cinese, che cresce non ai ritmi che abbiamo visto negli ultimi anni, ma comunque del 6%. La borsa di Shangai, che aveva registrato ampi cali, ha recuperato negli ultimi sei mesi circa il 25%. L’Asia è importante anche perché è la principale detentrice del debito pubblico americano.
E per quanto concerne Europa e Stati Uniti?
Per quanto riguarda l’Europa è notizia di ieri che la Germania, l’economia europea più forte, ha fatto registrare un aumento dell’indice di fiducia degli investitori ZEW, cosa che non succedeva dal 2007. Gli Stati Uniti hanno sì registrato un Pil negativo nell’ultimo trimestre, ma è anche vero che per la prima volta dopo due anni si sono visti segnali molto positivi riguardanti l’attività edilizia. Si tratta di un segnale importante dato che la crisi è stata innescata dai mutui subprime e quindi il settore edile è stato il primo a essere colpito dalla “bufera”.
In Cina, Europa e Stati Uniti abbiamo quindi questi tre elementi positivi. Che situazione vede in Italia?
Ci sono dei segnali di ripresa provenienti dal Nord-Est, e anche il Mezzogiorno, che è storicamente l’area del Paese con maggiori difficoltà, ha dato segnali di tenuta e non di “discesa negli inferi”. In generale ci troviamo quindi in un contesto “di luci e ombre”, perché abbiamo dei dati confortanti ma non siamo ancora usciti dal tunnel. Siamo in una fase in cui abbiamo superato il momento più buio della crisi e cominciamo a riprendere lentamente il cammino.
Per quanto riguarda le Borse, sembrano emergere dati positivi, come le trimestrali delle banche americane. Il sistema può dirsi dunque fuori pericolo?
La situazione dei mercati finanziari (in particolare di banche e assicurazioni) è ancora di “terra incognita”, come direbbe Tremonti. Questo perché i segnali positivi sono pochi rispetto a quelli negativi. In questo campo mi aspetto quindi ancora degli scossoni. È vero che da marzo si è assistito a una serie di rialzi delle borse, ma, come si è visto negli ultimi giorni, man mano che usciranno le trimestrali avremo delle situazioni di grande difficoltà: è inutile illudersi, la “bufera” non è ancora passata.
Tornando al nostro Paese, come possiamo aiutare le nostre imprese, senza limitarci a confidare nella ripresa della domanda dei mercati esteri?
Molti economisti, tra cui Giavazzi, esortano a riforme strutturali, come quella del sistema previdenziale. Vorrei ricordare però che nel 2007 una delle poche cose fatte dal Governo Prodi è stata la “controriforma” dello scalone per l’età pensionabile, che è costata 9,1 miliardi di euro. Nutro dubbi sul fatto che questo sia il momento in cui possiamo mettere mano a riforme di questo tipo, data anche la situazione occupazionale. E non parlo solo delle pensioni, ma anche della proposta di flessibilità in uscita sul mercato del lavoro. Si tratta certamente di riforme necessarie e da fare, ma non ritengo che sia questo il momento più adatto per agire in tal senso.
Cosa si potrebbe fare allora?
Un fronte che è stato un po’ perso di vista è quello del credito alle imprese. Recentemente, sia gli organismi internazionali che la Banca d’Italia ne hanno certificato una forte restrizione. Sarebbe il caso di andare a vedere come stanno le cose adesso. Si potrebbe capire se il meccanismo è tornato a muoversi o se invece, come dicono molte imprese, la restrizione è ancora forte. Questo è secondo me un terreno decisivo, perché se non c’è possibilità di fare investimenti o si deve stare troppo attenti a mantenere in regola i ratios patrimoniali, si crea una situazione problematica. Politiche fiscali, ad esempio sugli utili reinvestiti, possono sempre aiutare le imprese.
Il terremoto in Abruzzo costituisce una sorta di messa alla prova per l’intero sistema. Come le sembra che il nostro Paese si stia comportando?
La mia impressione è stata fin dall’inizio positiva, soprattutto per la capacità di reazione che c’è stata. Certo adesso viene la fase delicata della ricostruzione che apre altri capitoli più difficili. Prima di tutto per i tempi, che non saranno certo brevissimi. A questo proposito è giusto tenere in considerazione i rischi di infiltrazioni malavitose, senza tuttavia creare ostacoli eccessivi che creerebbero immobilismo. Bisognerà capire poi dove reperire le risorse necessarie. Maroni ha parlato di 12 miliardi di euro, probabilmente saranno di meno. Secondo me è stato importante che il Governo abbia resistito alla tentazione di mettere una tantum.
Perché?
Perché si tratta della tipica manovra già vista negli anni passati e che in alcuni casi ci portiamo ancora dietro. Per esempio, ancora paghiamo sulla benzina una sovrattassa per il Belice dal 1968. Le una tantum in Italia rischiano quindi di diventare “una semper”. Non trovo neanche giusto pensare a una sovrattassa per i redditi più alti. L’aver detto che non saranno aumentate le tasse è una cosa assolutamente positiva.
Quale sarebbe allora il modo migliore per reperire le risorse necessarie?
Rimanendo sul campo della politica fiscale, credo sia una buona idea l’ipotesi di uno scudo fiscale per il rientro dei capitali dall’estero. È una strada che stanno prendendo in considerazione anche altri paesi come Francia e Germania. Certamente andrebbero cambiate le condizioni rispetto al 2001 e al 2003, dove c’era stata un’aliquota molto bassa.