La vita, si sa, è piena di paradossi, e neanche le energie rinnovabili fanno eccezione alla regola. Prendiamo per esempio il caso dei pannelli fotovoltaici per i quali arrivano notizie piuttosto contraddittorie.

La notizia positiva è che il GSE, il Gestore del Sistema Elettrico, cioè l’ente delegato ad amministrare il sistema che ne regola e incentiva l’installazione, ha ufficialmente reso noto che nel 2008 in Italia sono stati realizzati ben 24.000 impianti, per una potenza complessiva installata di 338 MW. Questo dato colloca l’Italia al terzo posto nel mondo, per numero di impianti e potenza installata lo scorso anno, dopo Germania e Spagna, a pari merito con gli Stati Uniti, e prima di Giappone e Corea del Sud.



Naturalmente non saranno questi 338 MW a risolvere il problema dell’energia elettrica in Italia, ma si tratta di una conferma della ragione per la quale la politica degli incentivi è stata lanciata, da noi come in altri paesi, cioè che il fotovoltaico ha ormai un buon grado di maturazione tecnologica, che sarà probabilmente in grado di raggiungere in non molto tempo anche la maturità economica, se i volumi di mercato continueranno a incrementarsi, e che è nata una nuova industria, in grado di creare posti di lavoro a molti livelli, dai centri di ricerca ai semplici installatori.



Non mancano fra l’altro i segnali che non si tratta solo di una miriade di piccolissimi impianti domestici (il valore medio è di 140 kW ad impianto), ma anche di molte realizzazioni di una certa taglia, come quella recentemente inaugurata a Lucca dal gruppo Maccaferri, presso lo stabilimento “Manifatture Sigaro Toscano”. Qui la potenza installata è superiore a 2 MW, con circa il 12% dei pannelli installati sulle pensiline di un’area di parcheggio: un modo di trasformare delle aree di territorio già utilizzate per altri scopi, in un’occasione di produzione di energia pregiata.

La notizia che invece lascia molto perplessi, è che i Pubblici Poteri sembra vogliano riprendere con una mano quel che concedono con l’altra (o forse, ancora peggio, che non “sappia la loro mano destra quel che fa la sinistra”). Mentre infatti vengono concessi incentivi, anche piuttosto generosi, con meccanismi quali il “conto energia”, che però, alla fine, più che a carico dello Stato sono a carico dei consumatori finali, non si perde l’occasione di inventare nuove tasse, o di immaginare “modalità creative” per utilizzare quelle già esistenti.



Già in una circolare del 6 novembre 2008 l’Agenzia per il Territorio aveva ribadito una decisione presa ancora a settembre, secondo la quale tutti gli impianti per la generazione di energia fotovoltaica installati a terra (su terreni agricoli o di altra natura), cioè proprio quelli che per loro natura possono dare contributi più significativi in termini di potenza installata ed energia prodotta, devono essere registrati al catasto come impianti industriali e devono di conseguenza pagare ai Comuni l’ICI dovuta per gli immobili di classe D/1 (opifici).

Questa decisione aveva suscitato notevole malcontento nel mondo delle rinnovabili, e la APER, associazione dei produttori di energia rinnovabile, aveva sporto a dicembre un reclamo formale, sostenendo che il provvedimento caricherebbe gli impianti di un costo fisso annuale non preventivamente ipotizzabile. Si configurerebbe inoltre un diverso trattamento tra chi istalla gli impianti sugli edifici esistenti (che pagano già l’Ici, ma per la loro funzione primaria, abitativa o industriale) e chi li impianta a terra, magari utilizzando terreni marginali che non avrebbero altra utile destinazione. Ma nei giorni scorsi l’Agenzia del Territorio ha ribadito le sue posizioni.

In tempi non troppo lontani ci lamentavamo della fantasia “vampiresca” del ministro Visco. Il ministro Tremonti ha una buona e facile occasione per dimostrare che non è fatto della stessa pasta.

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