Proprio ieri il sindacato Uaw (United autoworker) ha raggiunto un accordo con Chrysler, Fiat e il governo Usa, il primo dei due tasselli necessari per perfezionare la partnership tra Torino e Detroit. Ora da sciogliere rimane il nodo del debito con banche ed hedge funds, titolari di 6,9 miliardi di dollari di crediti. Intanto, come spiega l’economista Mario Deaglio, si prepara una rivoluzione nel settore auto mondiale. Indispensabile, se vogliono sopravvivere, per tutti i produttori, Fiat compresa.



Professor Deaglio, l’operazione Chrysler è ormai in dirittura d’arrivo, e manca solo la soluzione dell’ultimo ostacolo relativo alle banche creditrici. Quale esito prevede per questa operazione?

Io credo che siano ancora aperti due esiti. Il primo è un accordo in cui i creditori trasformano i loro crediti in azioni, accettando il fatto di non essere pagati, con la speranza poi di essere ricompensati dai profitti di una Chrysler rinnovata. La Fiat apporta tecnologie e know-how e sviluppa insieme a Chrysler diversi progetti di nuove auto. Da qui si riparte, e questa è la strada maestra su cui si può andare avanti.



E la seconda possibilità?

Le banche non accettano una grande perdita, e si giunge allora all’amministrazione controllata. La società Chrysler, in amministrazione controllata, in questo caso conclude con Fiat un accordo industriale per i progetti di nuove vetture. In ogni caso la mia impressione è che l’accordo industriale fra i due soggetti si farà, perché a questo punto non avrebbe nessun senso fermarsi. La formula di passare attraverso il fallimento, cioè l’amministrazione controllata, oppure di non passarci è una scelta che compete agli americani nel loro complesso: sindacati, banche, governo. Quindi direi che con la creazione di un complesso automobilistico mondiale di tipo nuovo si farà comunque un passo avanti.



In che modo attraverso il fallimento le banche americane sarebbero soddisfatte?

Credo che il problema sia legato alla necessità che i nuovi progetti vengano comunque finanziati, e al fatto che il Chapter 11 della legislazione fallimentare americana garantisce alla società ad amministrazione controllata la protezione dai creditori: i creditori non possono cioè esigere i loro crediti. Quindi le banche non esigono i loro crediti, ma non sono obbligate a investire in capitale nuovo. Credo che in questo caso il capitale nuovo verrebbe messo direttamente dal Governo. Anche se queste sono tecnicalità per le quali bisognerebbe essere seduti al tavolo delle trattative.

Al di là dell’aspetto finanziario, da un punto di vista industriale questa fusione avrebbe aspetti virtuosi: sarebbe un vantaggio per Chrylser, che sopravvivrebbe; mentre per Fiat sarebbe l’occasione di arrivare su quel mercato americano che insegue da parecchi anni.

Per dirla brutalmente, anche per la Fiat, sul lungo periodo, è una questione di sopravvivenza: la Fiat da sempre soffre di una dimensione troppo piccola per il mercato mondiale, e non potrebbe continuare in questa direzione a lungo. Motivo per cui è già stata oggetto di forti appetiti da varie parti. Aveva addirittura detto di sì ad un accordo con General Motors, da cui poi si è brillantemente tirata fuori da un punto di vista finanziario. Ma continua comunque a rimanere un’azienda con un potenziale produttivo che inevitabilmente la porta ad avere dei costi più alti di quelli di altri produttori. Ora la Fiat si garantisce delle prospettive di medio lungo termine, e la cosa importante è che lo fa senza nessun ricorso finanziario. Tra l’altro, è interessante notare il fatto che le matrici produttive delle due imprese si integrino quasi perfettamente. La Chrysler non produce auto piccole, mentre la Fiat sì; e così su molti altri aspetti. Anche a me che non sono un tecnico sembra abbastanza evidente che le due aziende possano lavorare bene insieme.

Ha ragione Marchionne quando dice che ci stiamo muovendo verso un mercato per pochi, e che quindi questa fusione potrebbe costituire un modello per casi analoghi in futuro?

Sì, credo che Marchionne abbia ragione quando sostiene, come ha fatto in una recente intervista, che la dimensione minima di un produttore sul mercato globale è di 6/7 milioni di auto all’anno. Solo così si possono avere tutte le sinergie dalle diverse piattaforme per gli elementi comuni per le auto. Quindi ci sarebbero auto che poi si differenziano da Paese a Paese, ma che hanno delle componenti base che possono avere un prezzo molto basso. E senza un prezzo basso è difficile pensare che l’auto possa avere un futuro.

Siamo anche a un livello per cui c’è una sovrapproduzione che non lascia spazio al mercato?

Questo è vero, ma bisogna distinguere il breve dal lungo periodo. Gli incentivi sono un’arma da breve periodo, perché sono fatti affinché non ci siano dei tagli rovinosi di produzione come quelli che si sono verificati l’autunno scorso in tutto il mondo, e quindi in qualche modo tirino avanti in attesa di un progetto di modificazione di lungo periodo che cambi la natura delle auto.

Appunto. Qual è il futuro del settore, a suo modo di vedere?

Si presenta un futuro dell’auto molto diverso dal precedente, sia per quanto riguarda gli aspetti esterni, sia per quanto riguarda gli aspetti interni, come i motori e le prestazioni. Noi oggi compriamo delle auto che hanno prestazioni eccessive, con tecnologie ammirevoli ma che non ci servono. Fiat si è trovata ad avere una tecnologia molto forte e molto aggiornata sulle auto piccole, e poi una tecnologia molto aggiornata anche sui motori ibridi, e quindi si è trovata anche motori a metano, che sono una grande novità. Insomma, si è trovata con delle “ciliegine” di impatto che possono essere infilate nel corpaccione malato del gigante Chrysler, che li può produrre probabilmente a costi molto bassi.

Guardando anche al rapporto con Opel, come potrebbe cambiare Fiat nel futuro?

Innanzitutto bisogna tenere ben presente che la configurazione che sembra delinearsi non vede più le identità aziendali così marcatamente delineate, ma vede piuttosto delle coalizioni che possono avere delle aree abbastanza imprecisate. Per esempio, Renault si è presa il 30% di una grossa casa giapponese portandola all’utile, ma non abbiamo saputo, almeno sul piano delle vendite in Europa, di un’identità “Renault + Giappone”. Quello che abbiamo visto è che le identità a livello di consumo possono rimanere quello che sono, ma poi ci possono essere delle intese trasversali che son poi quelle dove si risparmiano i soldi. Basti pensare che escono pianali da uno stesso stabilimento per Renault e Fiat che si fanno concorrenza.

Per Fiat cosa possiamo immaginarci?

 

Tata sembra avere una vocazione simile a quella di Fiat, e per Fiat e Tata ci sono già degli accordi. Più incerto è il caso di Opel, perché costruisce auto simili a quelle della Fiat, ma con una qualità inferiore. Il primo punto quindi non potrebbe che essere una riduzione per la casa tedesca.

Possiamo dire che la situazione positiva per Fiat viene dalla crisi finanziaria che ha indebolito tutti?

Assolutamente sì; basti vedere che inizialmente Fiat doveva essere venduta a GM, e sembrava uscire dal settore automobilistico, rimanendo legata solo al settore dei veicoli industriali. Ora non solo non esce, ma comprerà un altro grande produttore o entrerà comunque in forte rapporto con esso. Questo è un fatto straordinario, perché avvenuto in soli tre anni. E tutto questo è avvenuto perché la crisi ha sicuramente peggiorato le condizione di Chrysler e GM, dato che gli americani comprano meno auto. A questo si aggiunge il fatto che la condizione di questi giganti era precaria già da molto tempo, dato che dai manager di queste aziende non è arrivata nessuna strategia, e nessuno li ha mai contrastati. E l’assenza di una dialettica a livello aziendale è sempre un elemento negativo.