È vero che la crisi finanziaria globale e la conseguente recessione economica non consentono grandi progetti. Per cui anche nel settore delle telecomunicazioni si sono ristretti i margini di profitto. E una delle questioni italiane più importanti, il futuro di Telecom, resta al momento
congelata, con i soliti grandi dibattiti sulle pagine dei quotidiani per quanto riguarda lo sviluppo e il futuro della rete.
Nonostante i ribassi dei mercati e della Borsa di Milano avvenuti in questi mesi, Telecom Italia non accusa perdite consistenti. Rimane allo stesso posto, a giorni un po’ sopra a giorni un po’ sotto l’euro. Il problema lo si vede in Telco, la holding che è azionista di riferimento nel capitale di Telecom Italia, che ha le azioni in carico a 2,2 euro, dopo averle svalutate da 2,69. Il problema di questa svalutazione è relativamente importante di fronte a quello che è l’andamento della finanza e dell’economia globale.
C’è invece un altro andamento che dovrebbe essere preso in considerazione ed è quello di Telecom nel suo complesso, dopo la costituzione di Telco con la presenza in seno alla holding del grande socio industriale, cioè la spagnola Telefonica. Nessuno mette in discussione la giustezza dell’operazione fatta due anni fa, con il salvataggio di Telecom dalle mani del messicano Carlos Slim e dagli americani di ATT. Tuttavia, dopo la grande privatizzazione e i vari passaggi con “scalate a debito”, Telecom non è di fatto mai decollata come si sperava, rimanendo, tra le varie tappe proprietarie private sempre una grande società, con potenzialità enormi, ma con un fardello tuttora pesante di indebitamento che ne hanno condizionato lo sviluppo e il suo ruolo di grande playmaker sul mercato globale delle telecomunicazioni.
Il problema si ripresenta anche oggi. Telco è apparsa come una solida difesa italiana di Telecom, perché al suo interno ci sono ben quattro realtà significative: Mediobanca con il 10,6%, Intesa San Paolo con un identico 10,6%, il gruppo Benetton con l’8,4% e la quota più consistente di Generali, con un 28,1%. A questo punto la spagnola Telefonica, uno dei concorrenti più temibili di Telecom sul mercato, con il suo 42,3% in Telco poteva garantiva non solo la presenza di un “socio industriale” di prima grandezza, ma anche il coinvolgimento e la neutralizzazione di uno dei concorrenti più agguerriti sul mercato globale.
Il problema è che questo “matrimonio”, adattissimo ed equilibrato al momento in cui il gruppo di Marco Tronchetti Provera usciva da Telecom Italia, non sembra più essere tanto fruttifero per il futuro del colosso delle telecomunicazioni italiane. L’accordo di Telco scadrà o dovrà essere rinnovato nell’aprile del prossimo anno, cioè del 2010, ed è probabile che in quel frangente sia gli spagnoli che i soci italiani valuteranno la necessità di mantenere questo accordo. Al momento, occorre dirlo con tutta franchezza, Telecom e Telefonica, per la presenza degli spagnoli in Telco, si sono involontariamente “pestati i piedi” in varie vicende in giro per il mondo, particolarmente in due paesi dell’America Latina, Argentina e Brasile, dove lo sviluppo delle telecomunicazioni, della telefonia mobile in particolare, è in pieno sviluppo.
Già al momento della costituzione di Telco, la cosiddetta autorità di vigilanza brasiliana sulle telecomunicazioni, prolungò i tempi oltre sei mesi, al punto che dall’assemblea di primavera, quando Tronchetti annunciò l’uscita del suo gruppo, si dovette arrivare a novembre per arrivare alle nomine, anche quella molto contrastate, del nuovo amministratore delegato e del nuovo presidente.
Poi, sempre pensando alle vicende della rete, si è rincorso un dibattito lunghissimo sul rilancio di Telecom attraverso un piano industriale di vasta portata che, per una ragione o per l’altra, più che legittima in ogni caso, non ha mai preso corpo. Prima che esplodesse in tutta la sua virulenza la crisi, ci sono state le prime avvisaglie di un “matrimonio in crisi”, con gli spagnoli di Telefonica che formalmente condividevano tutta la conduzione di Telecom, ma di fatto facevano formalmente pressione per avere un maggiore presenza in Telecom, con visite mirate anche alle nostre autorità di Governo.
È probabile che gli spagnoli avessero già presente i problemi che l’intreccio tra Telefonica e Telecom avrebbe posto in Paesi come l’Argentina e il Brasile per la convivenza in altre holding , che controllano società importanti o dove Telecom e Telefonica sono presenti nella telecomunicazione, in forma concorrente in alcuni casi e in forma intrecciata in altri. La sostanza alla fine è che Telefonica e Telecom Italia, nel loro intreccio attraverso Telco, quasi si stanno danneggiando a vicenda.
Sarà solo un’impressione, magari una sensazione, ma è probabile che nell’aprile 2010, tra un anno esatto, Telco possa essere ripensata nella sua costituzione, magari con una accentuazione nel capitale sociale di Telecom della presenza italiana. A quel punto si ripresenterà una questione di fondo. Se Telefonica decidesse di non rinnovare l’accordo in Telco, si troverebbe socio, non di riferimento, con un dieci per cento di azioni solo nel capitale complessivo di Telecom. È probabile che si possa calcolare realisticamente in quel momento un disimpegno, magari su valori azionari che potrebbero essere decisamente migliori di quelli attuali. A questo punto sarebbe compito degli italiani difendere l’italianità di Telecom, magari rilevando in Telco le quote di Telefonica.
Ma a quel punto saranno solo gli attuali soci di Telco (banche, assicurazioni e il gruppo Benetton) a difendere Telecom non solo sul terreno dell’italianità, ma anche di fronte a un’opa? Non trascurando tra l’altro una considerazione che fanno diversi analisti: la prossima fuoruscita dalla crisi, magari la possibilità di una nuova “bolla” sui mercati riguarderà innanzitutto le telecomunicazioni.
A quel punto, con tutta probabilità, si ripresenterà il nodo di fondo, che riguarda lo sviluppo, le sinergie, la rete di nuova generazione, la presenza di soci industriali di peso, la necessità per Telecom di entrare nel grande balzo tecnologico derivante dalla correlazione tra monitor ( lo schermo) e cellulare.
Sembra di ritornare ai problemi di sempre, agli incontri tra Tronchetti Provera e Rupert Murdoch al largo dell’isola di Zante in Grecia, ai piani tante volte tracciati, di una fusione tra un grande operatore privato di telefonia e un grande operatore privato di televisione. E siamo di nuovo di fronte a questioni di carattere politico, o comunque condizionate dalla politica. Alla faccia del libero mercato.