Sono ormai dieci settimane che le nuove richieste di sussidi di chi è rimasto senza lavoro continuano ad aumentare e si è ora arrivati a sette milioni di assegni di disoccupazione, il numero più alto dal 1967.
Ondata dopo ondata di licenziamenti si è venuto a creare un nuovo gruppo sociale: i disoccupati. Li si trova su Twitter che descrivono il loro “tempo libero”: «Stare seduti a Central Park in una bella giornata è quasi come avere un lavoro» o «siamo andati a fare una bella passeggiata, ah i vantaggi della disoccupazione!». Altri si danno da fare a casa, tra cui un blogger disoccupato, la cui moglie tiene un’aggiornata lista delle “cose da fare”, che ha recentemente prodotto un video nel quale lo si vede impegnato a lavare con una macchina l’esterno della sua casa. A New York, Nick Goddard, un informatico licenziato di recente, ha organizzato una nuova forma di intrattenimento, le Olimpiadi del Disoccupato, con quattro tipi di evento: il lancio del telefono, la pentolaccia del giorno di paga, attacca la colpa al capo (variante di un gioco per bambini conosciuto in Italia come la coda dell’asino) e infine la corsa al licenziamento.
I sussidi di disoccupazione hanno normalmente una durata di 26 settimane, alle quali sono state recentemente aggiunte, con provvedimenti federali, altre 20/33 settimane a seconda degli stati. Per i nuovi disoccupati, soprattutto per i professionisti abituati a lavorare 10/12 ore al giorno, si pone il problema pressante di riempire le ore vuote. Con l’aumento del tasso di disoccupazione, che in febbraio è arrivato all’8,1% , è esploso il volontariato, le cui associazioni parlano di un incremento di nuovi collaboratori da un quarto a un terzo. Anche le nuove domande stanno raddoppiando o triplicando e queste organizzazioni e associazioni stanno faticando ad addestrare e impiegare tutti questi nuovi volontari.
Le ragioni di questo nuovo impegno nel volontariato sono molteplici. C’è chi dice di voler riempire le lunghe ore senza nulla da fare con un lavoro che abbia un significato, altri invece vogliono mantenere aggiornati e senza buchi il loro curriculum. Il The Martin Luther King Day of Service
(una giornata dedicata al volontariato nella ricorrenza dell’assassinio di King), sostenuto da Obama, ha dato una spinta anche a un maggiore coinvolgimento comunitario.
Qualcuno si dà al volontariato perché non è più in grado di fare offerte in denaro e, talvolta, sono gli stessi che prima sostenevano le opere che ora hanno bisogno di aiuto. Linda Koelman, pastore della North United Methodist Church a St. Paul, nel Minnesota, ha incontrato molte persone che offrivano il loro lavoro come volontari e, contemporaneamente, chiedevano vestiti dal servizio assistenza della parrocchia. Eryka Teisch di New York, dice di apprezzare lo scopo che le dà il volontariato: «Uno cerca di non concentrarsi sull’aspetto amaro, tipo “Odio la mia società e non posso credere che mi abbiano fatto questo”. Così almeno hai qualcosa per cui alzarti la mattina, invece di centrare tutto sulla ricerca di un nuovo posto di lavoro in questa situazione economica così difficile».
Randy McCarthy, che si occupa di selezione del personale, raccomanda il volontariato a chi è alla ricerca di un nuovo lavoro: «Un’esperienza nel volontariato può essere un buon riempimento mentre cercate di rimettervi in gioco nel vostro lavoro… Può essere l’occasione per costruire una rete di conoscenze, acquisire nuove referenze professionali ed entrare in contatto con una nuova agenzia o società che domani potrebbe offrire posizioni retribuite». Alcune istituzioni sono state svelte nel trarre vantaggio da questa forza lavoro gratuita, compresa la città di New York, che sta reclutando avvocati per prestazioni gratuite, o la rivista Architectural Record che invita gli architetti ha prestare la loro opera per Habitat for Humanity e altri simili programmi di assistenza.
Per alcuni il lavoro da volontario è diventato un cambiamento permanente nella propria vita lavorativa. Anne Abbott, dopo una lunga militanza come volontaria, ha chiuso la sua azienda in difficoltà per lavorare a tempo pieno in un banco alimentare. «È così un bel lavoro, pieno di senso. Quando lavoravo in azienda, dovevo farmi in quattro per soddisfare i bisogni dei clienti e mi sono detta: “Per che cosa lo sto facendo? Meglio passare al non-profit”». Gloria Arreguin, che lavorava in un magazzino a Kingsburg, ha pensato che fosse irrealistico cercare un nuovo lavoro a sessant’anni ed è diventata volontaria a tempo pieno: «Voglio fare qualcosa che mi faccia sentire bene e aiutare gli altri mi fa sentire bene».