Il Parlamento europeo già da un anno ha tracciato la strada per la politica energetica continentale dei prossimi trent’anni: con uno sguardo all’economia, all’ambiente e alla sicurezza, l’Europa evidenzia come alle fonti fossili (gas naturale e carbone) occorra aggiungere con sollecitudine le energie rinnovabili e il nucleare.



In analogia con le iniziative avviate in altri paesi europei, il governo italiano ha quindi deciso di tracciare un proprio tragitto e tornare (dopo oltre 20 anni di stop assoluto) a produrre energia elettronucleare. Questa scelta sta già mobilitando le istituzioni, l’industria, la ricerca e la formazione. Dopo l’accordo con la Francia e quello Enel-Edf, altri operatori europei si stanno proponendo per investire nel settore. Ma prima di tutto è necessario completare il quadro legislativo nazionale.



La Commissione Industria del Senato ha ripreso nei giorni scorsi l’esame del Disegno di Legge che riporta al suo interno gli articoli per il ritorno all’energia elettrica nucleare. La discussione è stata avviata ormai da alcuni mesi e si sperava di arrivare a una definizione entro marzo. Un prolungamento dei tempi si poteva certo immaginare, ma ora, dopo ulteriori proroghe e sulla base di quanto deciso in Commissione, la tempistica appare più incerta.

Il percorso comunque procede e vale la pena di riepilogare rapidamente gli emendamenti approvati in Commissione. Innanzitutto è stato riesaminato il termine nella scelta dei criteri per l’individuazione dei siti per la collocazione degli impianti, che viene fissato a sei mesi dall’approvazione del provvedimento (prima si ipotizzava il 30 giugno prossimo!). Un secondo emendamento reintroduce l’obbligo di ottemperare alla valutazione ambientale strategica: nessuna semplificazione pertanto nel percorso autorizzativo.



Un altro elemento di forte impatto è la disposizione che impedisce alla Cassa Depositi e Prestiti di partecipare ai consorzi che potrebbero essere costituiti per la realizzazione e gestione delle centrali (cercheremo di comprenderne le motivazioni e le conseguenze). La Commissione è intervenuta poi per sottolineare l’attenzione ai temi della gestione dei rischi, imponendo “elevati livelli di sicurezza”.

Viene poi previsto un “fondo” a carico dei produttori, per la dismissione degli impianti e il trattamento e lo smaltimento dei rifiuti radioattivi. Infine è stato ridefinito il ruolo degli Enti locali, in particolare assegnando alle Regioni le competenze di controllo e per le politiche di compensazione alle comunità residenti nei territori prossimi agli impianti.

Queste misure sono in buona parte analoghe a quelle adottate nei Paesi con riconosciuta competenza normativa nel settore nucleare, ma il rischio è che ci si possa ritrovare con una norma legislativa non sistematica e moderna: pochi particolari possono rallentare il percorso e renderlo più incerto e meno praticabile.

In particolare i criteri per l’individuazione dei siti e la localizzazione delle centrali sono prioritari: già nel passato, non scordiamolo, sono state fatte le rilevazioni opportune, raccolte e approfondite nei dettagli. L’altro elemento prioritario è quello delle procedure per le autorizzazioni: anche qui l’esperienza di altri paesi ci può venire in aiuto poiché si tratterebbe di applicare bene gli standard internazionali.

Non sembra pertanto avventato concludere che spostare di qualche mese la discussione e l’emanazione di un quadro legislativo può anche non essere solo segno di prudenza: forse è “attendismo”, che però non ci si può concedere quando la strada è così impegnativa e complessa come quella per la reintroduzione dell’energia nucleare.

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