La copertina del numero dell’Economist della scorsa settimana, di per sé, raccontava perfettamente lo stato delle cose: non servivano né titoli, né tantomeno servizi all’interno. Quel Sarkozy appollaiato su una scatola per sembrare più alto, quella Merkel dalle gambe infinite e quel Gordon Brown con la testa che sbucava di poco dal terreno era l’immagine chiara della nuova Europa che nascerà dall’appuntamento elettorale di giugno. L’asse renano sugli scudi e il modello anglosassone in soffitta.



Se poi ci fosse stato bisogno di altre prove riguardo l’aria che tira, bastava leggere dalle colonne dei quotidiani inglesi dell’altro giorno l’attacco senza precedenti – e preventivo, in perfetto stile amministrazione Bush – rivolto da Angela Merkel al più che probabile futuro primo ministro britannico, il conservatore ed euroscettico David Cameron. «Un governo a guida Tory dovrà fronteggiare isolamento e inimicizia visto il suo atteggiamento non cooperativo sul Trattato di Lisbona», sono le parole della Cancelliera dopo l’ennesimo vertice bilaterale con Nicolas Sarkozy.



Non siamo allo stile mafioso ma poco ci manca, a dispetto delle storiche e poco rispettose copertine dello Spiegel verso l’Italia. Cameron, d’altronde, non ha mai fatto nulla per farsi ben volere: ha già detto che ritirerà il gruppo conservatore dal Ppe (troppo filo-Trattato), che crede nella cooperazione ma non nella Costituzione Ue e soprattutto che è favorevole all’allargamento, Turchia in testa. Insomma, scontro frontale.

Che sottende però altro. Ovvero, l’egemonia sui mercati finanziari. Con una mossa senza precedenti, infatti, un gruppo di poco avveduti ex ministri e parlamentari britannici ha utilizzato le colonne del Guardian per lanciare un appello affinché venga approvata una legge che renda illegali i cosiddetti “vulture funds”, meglio conosciuti come “fondi avvoltoio”: si tratta di hedge funds che basano la loro azione sull’acquisto dalle banche di tranche del debito di paesi molto poveri, quasi sempre africani o dell’Est europea, salvo poi trascinare le stesse nazioni in tribunale per rendere esigibile il credito e farsi pagare interessi e mora. Insomma, guadagni assicurati.



Sono certo che moltissimi riterranno moralmente riprovevole questa attività ma urge ricordare un paio di fatti: primo, sarà amorale ma non è illegale. Il libero mercato funziona così e non si vede quale sia la differenza morale tra i “vulture funds” e governi come quello francese che utilizzano i fondi comunitari per mantenere i propri agricoltori fannulloni, capaci soltanto di creare dumping sul mercato per la loro posizione di predominanza e rendita (storico lo scontro con i polacchi, altrettanto interessati al comparto agricolo, in sede di discussione del Budget 2007-2013): entrambi giocano sporco, a proprio totale interesse ma entro le regole.

Secondo, sarebbe anche ora di finirla con il pauperismo da salotto buono e cominciare a preoccuparsi anche degli aiuti umanitari che il Primo Mondo manda in Africa e che finiscono nelle tasche del satrapo di turno e della sua gang invece che in investimenti scolastici e sanitari: rubinetti d’oro invece che scuole significa cattivo investimento e ancora peggiore vigilanza sui nostri soldi, visto che la responsabilità non è un optional.

Se quei paesi continuano a creare debito e a non ribellarsi contro i propri dittatori non si può prendersela solo con i “vulture funds”: che, infatti, saranno anche senza morale ma pure le banche che li accolgono a braccia aperte, le nostre banche, pur di vendere loro tranche di debito non sono esattamente vergini vestali. Ci guadagnano tutti dall’attività degli avvoltoi, anche i governi che altrimenti sull’onda della spinta popolare sono spesso costretti ad annullare quei debiti (preferisco, mille volte, un gestore di “vulture funds” rispetto a Jovanotti e al suo “cancella il debito” sanremese). Basta ipocrisie, per favore.

Bene, in sede comunitaria Germania, Francia e anche Italia stanno scatenando una guerra a tutto tondo contro il commissario per il mercato interno, il liberista irlandese Charle McCreevy, gettando nello stesso calderone “vulture funds” e hedge funds che operano su mercati come l’azionario o quello delle commodities: i quali, lo conferma uno studio indipendente di Fsa e Sec, hanno influito solo per il 3-5% sulla crisi, il resto è merito del corporate, delle banche con leva di 1:60.

Tant’è, pur di distruggere il modello anglosassone colpendo dove fa più male – ovvero il portafoglio visto che l’industria degli hedge funds è presente per l’80% a Londra ed è pronta a migrare a Ginevra e Hong Kong – questi signori dell’asse renano (non si sa quale interesse abbia Giulio Tremonti ad accodarsi visto che con il modello liberista anglosassone dove c’è profitto c’è profitto per tutti, mentre l’egemonia franco-tedesca non è mai stata tenera con l’Italia) sono pronti a sacrificare l’intero comparto: ovvero, posti di lavoro e denaro fresco che entra negli esangui mercati azionari. Gli stessi che vedono punite un giorno sì e l’altro pure le “sanissime” banche di Germania e Francia.

Queste elezioni europee, quindi, sono di un’importanza fondamentale per il nostro futuro, per il futuro di tutti: le alleanze britanniche basate sul liberismo crolleranno in sede di Consiglio d’Europa (i Paesi dell’Est, scottati dalla crisi, fuggiranno da Friedman e dalla lezione di Chicago) e ci ritroveremo governati da Parigi e Berlino tramite quel fiduciario di nome Bruxelles.

Non è un caso che in Gran Bretagna il voto del 4 giugno si sia già trasformato in un vero e proprio referendum sull’Unione con Tories, Ukip e Bnp decisi a ottenere dopo il voto la consultazione popolare sul Trattato di Lisbona promessa da Gordon Brown all’atto della successione a Tony Blair e nei fatti mai indetta.

L’opzione di un opt-out inglese verso l’Efta è sempre più probabile, soprattutto se David Cameron il prossimo anno sbarcherà a Downing Street e se l’asse renano continuerà a voler distruggere l’unico polo finanziario d’Europa: allora anche noi capiremo che è stato un errore volersi far guidare da due paesi che vogliono solo l’egemonia, non un’Europa più unita, solidale e cooperativa. Paesi nostri diretti competitor nell’industria, nell’agricoltura, nel sistema bancario, nel manifatturiero: forse, quel giorno, rimpiangeremo quel dannato liberismo che premia l’intuizione, l’intrapresa e la qualità invece che i blocchi di potere. E l’Italia è fatta di piccole e medie imprese che esportano eccellenza, non grandi industrie e consorterie. Ma sarà tardi.

Meglio pensarci prima di giugno, allora. Questa voto, davvero, è il più importante da anni e anni a questa parte.