L’Europa di cui abbiamo bisogno in economia non deve solo essere capace di riflettere su quanto ci sta rivelando la più grave crisi economica quanto meno dal secondo dopoguerra. Deve anche essere capace di agire, dopo la riflessione.
Chi qui scrive non è affatto d’accordo con le tesi consolatorie espresse recentemente dal professor Mario Monti sul Corriere della Sera. No, purtroppo il modello di economia sociale europea non sta affatto diventando l’elemento di riferimento mondiale, a cominciare dai paesi anglosassoni. La ragione è almeno triplice.
Nella finanza, laddove cioè la crisi si è generata, la parte d’Europa più intossicata sta reagendo con persino meno decisione di quanto avvenga negli Usa. Sto naturalmente parlando della Germania, i cui vertici politici e istituzionali compresa la Bundesbank mantengono un miope comportamento di occultamento dei radicali interventi che sono ancora necessari negli attivi patrimoniali bancari.
Nel resto dell’economia reale, è un fatto che il rallentamento delle attività produttive è assai più forte in Europa, a cominciare dalla Germania, che negli Usa o nel Regno Unito.
Nella moneta, paghiamo tributo ai troppi anni trascorsi illudendoci che l’euro potesse divenire valuta di riserva mondiale mordendo il ruolo del dollaro, o tallone monetario almeno concorrente nei mercati delle commodities. L’amara realtà è che la ripresa del commercio mondiale è ancora appesa al tasso di cambio tra dollaro e renmimbi, e che attraverso questa strettoia potrebbe riversarsi innanzitutto sull’Europa e soprattutto sui più esportatori e importatori tra i paesi europei – quali noi siamo – il più dell’ingente inflazione potenziale che la Fed alimenta per il futuro, con le sue inondazioni di liquidità monetaria.
Per il punto uno – che non è affatto una questione “tecnica” da riservare ai banchieri centrali – occorre che al Parlamento europeo e nella Commissione siedano italiani capaci di esercitare su tedeschi e francesi un’interlocuzione anche dura e incalzante, quando necessario, ma volta al bene comune e senza stupide polemiche nazionalistiche. Che attualmente in Italia le imprese debbano pagare il credito bancario in media 80 punti più che in Germania e 134 più che in Francia, anche per il fatto che da noi le banche non hanno avuto bisogno di salvataggi di Stato e dunque pagano a propria volta più caro il proprio funding, è una stortura dalla quale non si esce con atteggiamenti di subordinata passività.
Per il punto due, vasti segmenti dell’attività manifatturiera e dei servizi richiedono una logica e una dimensione realmente e definitivamente continentale, capace di superare la miope e illusoria dimensione del mercato nazionale di riferimento. Il tentativo Fiat, rivolto ai tedeschi per consolidare le attività europee di Gm sommandole a quelle sudamericane della stessa casa e a Chrysler negli Usa, è un test validissimo perché la politica comprenda che le garanzie e gli aiuti pubblici che oggi servono a rendere meno aspro l’impatto sociale delle ristrutturazioni, possono e devono essere volti ad agevolare la nascita di grandi gruppi integrati europei: gruppi privati, poiché i casi Eads e Airbus provano da soli che il controllo pubblico non è stato efficiente.
L’Est europeo della cui solidità finanziaria da mesi tremiamo, va interpretato come parte integrante e bacino di produttività aggiuntiva di cui continueremo ad avere gran bisogno, invece che come area di delocalizzazione privilegiata dei soli germanici. Analogo approccio continentale va applicato a una grande questione oggi apparentemente in sordina, per via dei floridi bilanci delle aziende energetiche: quella della diversificazione e dell’efficienza delle direttrici di approvvigionamento energetico, equilibrando la spinta nordeuropea animata dai tedeschi per esempio sul progetto Nabucco attraverso il South Stream appena rilanciato a Mosca da Eni e Berlusconi.
Quanto alla moneta, la creazione di un debito pubblico davvero europeo attraverso gli Eurobond non è un modo per aggirare i tetti di Maastricht al debito pubblico nazionale, ora che per la crisi esso s’innalza dovunque. È il modo per far nascere l’Europa politica che manca. Così fece Alexander Hamilton, creando nel 1791 il debito pubblico federale e la prima vera banca centrale, la First Bank of the United States: senza di esse non ci sarebbero gli Stati Uniti, ma solo una confederazione esattamente come ancor oggi, divisa e debole, resta l’Unione europea.