I dati Istat relativi al fatturato e agli ordinativi dell’industria di marzo 2009 danno un’Italia in difficoltà. Fatturato -17,5% su base annua e -0,8% rispetto a febbraio scorso; ordinativi -26% rispetto a marzo 2008 e -2,7% rispetto al mese scorso. Soffrono le esportazioni, con -9,4% rispetto a febbraio. Positivi gli ordinativi nazionali: +1%. Una cosa è certa: gli altri paesi non stanno meglio di noi, nonostante le apparenze del Pil. In attesa di capire quale scenario ci riserverà la crisi, ilsussidiario.net ha chiesto l’opinione di Marco Fortis, economista e vicepresidente della Fondazione Edison.



L’Istat ha reso noti i dati su fatturato e ordinativi dell’industria di marzo 2009. E non sono confortanti.

 

Per quanto riguarda il fatturato la situazione è nota. Il primo trimestre del 2009, insieme all’ultimo dello scorso anno, ha segnato la fase più acuta della crisi. Abbiamo anche avuto una stima preliminare del Pil che conferma un quadro molto negativo del primo trimestre. Sugli ordinativi, invece – che rappresentano un elemento più interessante perché riguardano l’immediato futuro – erano stati colti fattori positivi: sembrava che a febbraio sulla domanda estera vi potesse essere un po’ di rimbalzo, mentre a marzo abbiamo visto di nuovo cadere l’indice di quelli esteri.



L’Istat dice però che gli ordinativi nazionali di marzo hanno fatto segnare +1% rispetto al febbraio scorso.

Può darsi che il dato risenta del clima favorevole di annuncio degli incentivi per l’auto, e che preluda ad un fatturato dell’auto per aprile e maggio migliore degli ultimi noti, che sono realmente disastrosi. Potrebbe anche darsi che l’operazione di ristoccaggio della filiera distributiva in Italia, a parte l’auto, sia in anticipo su quella estera, la quale risente ancora del fatto che molti paesi nostri clienti sono in grandissima difficoltà.

Siamo dunque in presenza di dati negativi, ma occorre essere prudenti e attendere. È così?



Sì, perché quei dati non aggiungono nulla a quello che già sappiamo. Il primo trimestre è stato drammatico: destoccaggio, caduta della produzione industriale ovunque e crollo del Pil. Qualcuno ha fatto notare che i Pil di Italia e Germania sono caduti di più dei paesi che dovrebbero essere più in crisi, ma ritengo che siano osservazioni peregrine: aspettiamo di vedere cosa accadrà nel medio lungo termine. Gli Stati Uniti hanno in questo momento una maggiore tenuta del Pil perché stanno gonfiando l’economia di soldi pubblici. Vedremo quale sarà, tra due o tre anni, il loro debito pubblico. La crisi ha messo allo scoperto le economie drogate dal côté privato, ma ora ci sta pensando il pubblico a fornire lo stupefacente.

Perché invece la nostra economia soffre?

Perché, come quella tedesca, è soprattutto zavorrata dal calo dell’export. I critici ne approfittano per dire che il nostro sistema è troppo dipendente dalle esportazioni. Naturalmente nell’unico anno, nell’arco di un secolo, in cui capita una crisi di questa gravità, vorrei anch’io che non fossimo così dipendenti dalle esportazioni. Ma se negli altri 99 anni l’alternativa è crescere solo grazie ai debiti oppure crescere grazie alle esportazioni, preferisco queste ultime. Onore al merito, dunque, soprattutto se si è capaci di esportare non come la Cina grazie ad un cambio artefatto, ma nonostante l’euro.

Quali sono le conseguenze per un paese esportatore come l’Italia?

Il nostro Pil, come quello della Germania, del Giappone o della Corea, è condannato a subire cadute almeno di breve periodo più forti di quelle di Usa o Gran Bretagna perché subiamo, oltre al rallentamento dei nostri consumi, anche il rallentamento dei consumi degli altri. Ma non è un buon motivo per dire che il nostro modello, di paese manifatturiero ed esportatore, è sbagliato.

Hanno fatto molto scalpore gli ultimi dati Ocse, che ci vedono al 23simo posto nella classifica degli stipendi: 15.800 euro di reddito netto annuo per un lavoratore senza carichi di famiglia.

Mi limito a constatare che in Italia ci sono quasi più imprenditori che “prenditori” di salari. Meriterebbe poi di sapere come sono state costruite le statistiche, perché con il sommerso gigantesco che c’è nel sud, stabilire a priori delle graduatorie di benessere sulla base di dati delle retribuzioni mi sembra quanto meno opinabile. Quello che l’Ocse non ha detto è che in Italia c’è un numero di imprenditori come in nessun’altra parte del mondo i quali lo stipendio se lo danno da soli e non è certo al livello indicato nella classifica. Poi mi chiedo: sono state fatte statistiche che comparano le retribuzioni del nord Italia con quelle di altri paesi, piuttosto che non con quelle del sud Italia o di altre regioni?

Quanto dovremo attendere per sapere dove va la crisi?

Gli indicatori che dovrebbero dirci qualcosa di più preciso sui tempi di uscita dalla crisi potrebbero essere quelli del secondo trimestre dell’anno. Maggio e giugno diranno se quello che traspare dagli indicatori qualitativi di confidenza dell’Ocse e della Commissione europea ha qualche fondamento. Poi non resterà che aspettare i dati reali.