Sono iniziati gli incontri fra i paesi del G8 in preparazione del vertice di luglio che di recente è stato spostato in Abruzzo e coinvolgono, una ad una, tutte le tematiche che confluiranno nella grande assise finale. Un metodo di lavoro che è innovativo e utile perché facilita la messa a punto dell’agenda e dei contenuti del vertice avvicinandoli all’opinione pubblica ed all’informazione.



In queste occasioni prevale la volontà di raggiungere il maggior consenso possibile, anche a costo di banalizzare i contenuti e, dunque, in genere non ci si attende troppo dai lunghi comunicati finali elaborati dalle diplomazie. Si temeva lo stesso anche per il G8 agricolo, concluso recentemente in Veneto, nonostante vi fossero i motivi per aspettarsi molto da esso dopo la crisi alimentare del 2008.



Una prima lettura del documento conclusivo in 13 punti sembra confermare la sensazione di un testo ampio e generico, ma scarsamente operativo. Tuttavia se lo si legge con gli occhi della volontà di fare si può scorgere un interessante tentativo di tracciare una linea d’azione. Al centro viene posta l’esigenza insopprimibile di garantire all’umanità la sicurezza alimentare, dopo aver constatato che gli obiettivi fissati per il 2015 non solo non verranno raggiunti, ma addirittura vengono compromessi dalla crisi mondiale.

Durata ed entità di quest’ultima rimangono ignote, ma non si può aspettare che si risolva per poi occuparsi della questione alimentare. su ciò il documento è chiaro: occorre prima risolvere questa emergenza se si vuole contribuire a superare quella generale. Per fare ciò i 13 punti propongono un forte investimento complessivo in tutto il mondo nell’agricoltura, dopo decenni di politiche di segno opposto, soprattutto nei paesi sviluppati con Usa ed Ue in testa.



Il G8 agricolo pone con chiarezza l’obiettivo dell’incremento della produzione agricola, indispensabile se si vuole che nel mondo non si debba più combattere con le armi per il cibo e l’acqua. Nel 2025 si stima che 9,2 miliardi di esseri umani avranno bisogno di un volume di prodotti agricoli pari al doppio dell’attuale.

I limiti invalicabili all’estensione della superficie coltivabile, dicono i ministri agricoli, impongono un aumento della produttività ottenibile da un crescente ricorso alla ricerca scientifica e ai suoi risultati. La scelta del G8 è giusta e coraggiosa, anche se stemperata dal riferimento al concetto di sostenibilità, affascinante ma troppo vago. Allo stesso modo rimane nel silenzio il problema dell’uso degli Ogm: l’appello alla scienza non può prescindere dal ricorso alle biotecnologie, ma queste non vengono nemmeno nominate, forse per un eccesso di ricerca di consenso, anche se sono implicite.

Altri temi controversi sono accennati con grande prudenza: si condanna la speculazione e si invocano mercati più trasparenti, senza entrare in dettagli e anzi invitando a studiare il possibile ricorso a stocks mondiali esaminandone «le modalità amministrative», come a dire che esistono contrasti in merito.

Vengono deplorate le politiche protezionistiche messe in atto al colmo della crisi e si auspicano positivi sviluppi del Doha Round, ma senza indicare la strategia condivisa da seguire. I punti toccati o anche solo marginalmente accennati sono numerosi e importanti, per la prima volta da decenni si apre un vero dibattito sulle politiche agrarie a livello mondiale.

Vedremo come il G8 generale saprà sciogliere i nodi e, soprattutto, se, nel momento in cui alla crisi dell’economia si aggiunge la minaccia oscura della peste suina, sapranno trovare nel mare in burrasca della quotidianità la rotta per costruire un futuro più sicuro per l’agricoltura e per l’umanità. Le prime indicazioni sono incoraggianti, ora si tratta di proseguire con coerenza.