Bank of America, Wells Fargo e Citigroup sono fra le dieci delle banche americane che necessitano di ulteriori iniezioni di capitali, per un totale di 74,6 miliardi di dollari, mentre JP Morgan e Goldman Sachs figurano fra gli istituti ben capitalizzati.
Questo il verdetto dello stress test condotto dalla Federal Reserve su 19 banche Usa ritenute vitali per il sistema, per verificarne tenuta e solidità nel caso di nuove perdite determinate da un peggioramento dell’economia e della crisi dei mercati.
La Fed ha chiesto a dieci istituti di rafforzare il proprio capitale mentre nove sono stati promossi: in cima alla lista dei più deboli c’è Bank of America che avrà bisogno di capitali per 33,9 miliardi di dollari. A seguire, sempre fra le banche più importanti, ci sono Wells Fargo che dovrà raccoglierne 13,7 miliardi, Gmac (11,5 miliardi), Citigroup (5,5 miliardi) e Morgan Stanley (1,8 miliardi). Fra i promossi ci sono Goldman Sachs, JPMorgan, Bank of New York Mellon, American Express, Capital One Financial e Metlife.
La Fed ha calcolato che con un eventuale deterioramento del quadro economico le perdite delle banche potrebbero raggiungere i 599,2 miliardi di dollari nel giro di due anni, sottolineando che la parte più cospicua del rischio riguarda le perdite legate ai mutui che potrebbero raggiungere un ammontare di 185,5 miliardi di dollari.
Il segretario al Tesoro Usa Timothy Geithner e il presidente della Federal Reserve Ben Bernanke hanno assicurato che gran parte delle banche Usa riusciranno comunque a raccogliere i capitali necessari senza dover ricorrere all’aiuto del governo perché «sono ampiamente in grado» di farsi finanziare da soggetti privati.
L’amministrazione Obama appare determinata a non chiedere ancora soldi ai contribuenti e sostiene con forza la tesi che la prima risorsa deve essere quella dei mercati di capitali, mentre fra le opzioni resta la conversione delle azioni privilegiate detenute dal governo in azioni ordinarie: una manovra meno traumatica rispetto alla raccolta diretta sul mercato.
Ora la parola passa alle banche che già in queste ore iniziano a discutere con la Fed l’esito dei test: gli istituti che non hanno superato l’esame avranno un mese di tempo per presentare i rispettivi piani di azione e sei mesi per attuarli e rastrellare i capitali necessari.
Ma, al di là dei risultati, per la Fed l’esperimento dello stress test può rappresentare la base per strutturare un efficiente modello di supervisione del sistema bancario, alla luce delle vistose falle venute fuori con lo scoppio della crisi finanziaria. Lo ha fatto capire chiaramente Bernanke, che ha definito «priorità massima» proprio le attività di supervisione, monitoraggio e regolamentazione per assicurare in futuro stabilità al sistema.
La banca centrale americana sta già studiando la sua exit strategy dall’interventismo statale sul fronte bancario. «A un certo punto – ha spiegato Bernanke – dovremo fermare i programmi di emergenza: abbiamo gli strumenti necessari per rimuovere la liquidità in eccesso».
Ora non resta che attendere il responso del mercato per verificare se, alla riapertura di borsa, la Fed e il Tesoro americano sono riusciti a convincere investitori e operatori finora molto scettici sull’attendibilità dei criteri adottati per il test.