Nel pomeriggio di ieri è arrivata la nota delle due case automobilistiche: l’accordo è stato perfezionato e Marchionne è amministratore delegato di Chrysler. «Attende Fiat un compito molto difficile di ristrutturazione – dice l’economista Francesco Forte – perché l’obiettivo è portare Chrysler ad un’impostazione di mercato completamente diversa, con una “scommessa” sia sulla capacità di integrazione di prodotto, sia sul gradimento del consumatore americano». Una vera svolta culturale e industriale, che Fiat ha le carte in regola per insegnare alla casa di Auburn Hills.
La Corte suprema Usa, anche per le pressioni della Casa Bianca, ha alla fine respinto il ricorso presentato dai fondi pensione dell’Indiana e a quel punto l’intesa era cosa fatta.
Le corti americane sono celeri ed efficienti e il caso era molto favorevole a Fiat dal punto di vista giuridico, perché Torino aveva diritto a ritirarsi il 15 giugno oppure a rimanere, chiedendo i danni per il ritardo. Nel suo esposto la Fiat ha fatto presente che non si sarebbe sganciata affatto. A quel punto se i giudici avessero dato ragione ad una parte degli obbligazionisti, avrebbero recato danno a tutti quelli che avevano scommesso sul rilancio di Chrysler. Ma la decisione finale di respingere il ricorso è importante anche per un altro motivo.
Quale?
È un avviso anche per i creditori di General Motors. Se non accettassero i criteri di riparto e facessero ricorso alla Corte costituzionale per violazione delle regole di equità di trattamento, in base al precedente Chrysler ci sarebbe la certezza che il ricorso verrebbe respinto e che le operazioni di larvato ricatto per avere un trattamento migliore non avrebbero successo.
Torniamo a Fiat…
Ora inizia la sfida. Attende Fiat un compito molto difficile di ristrutturazione industriale, perché l’obiettivo è portare Chrysler ad un’impostazione di mercato completamente diversa, con una “scommessa” sia sulla capacità di integrazione di prodotto, sia sul gradimento del consumatore americano.
Non pensa che stia qui l’incognita maggiore? Nel vendere auto a consumatori abituati ad acquistare vetture totalmente diverse da quelle che Fiat-Chrysler ha in mente?
In realtà è errata l’idea diffusa che il grosso dell’offerta sia la vendita di vetture piccole, come le Fiat 600 o 500 sul mercato americano. Questa sarà una particolare attività di nicchia che Chrysler svolgerà producendo lei stessa automobili metropolitane, qualcosa di simile a quello che ha fatto Mercedes con la Smart. La Fiat Topolino è il cuore di questo progetto. Ma il centro della strategia Fiat è l’utilizzo di motori Fiat con cilindrate 1400-1900 cc turbodiesel, altamente versatili, che possono essere utilizzati con miscele biologiche e ad alto potenziale.
Il mercato Usa è pronto per questo cambiamento?
Si va verso una regolamentazione stringente che imporrà negli Stati Uniti modelli ad alto “rendimento” ecologico. La scelta del consumatore americano non potrà essere molto diversa e sarà quindi pre-orientata dalla legge. Obama ha una ragione politica ed economica per farlo, ed è liberare gli Usa dalla schiavitù del petrolio mediorientale. Senza contare che una legge ad hoc è giustificata dal fatto che l’uso di carburanti inquinanti genera diseconomie esterne. D’altronde il mercato ha già cominciato a condannare le grandi automobili: non è un caso che Gm abbia venduto ai cinesi (della Sichuan Tengzhong, ndr.) il brand Hummer, veicoli grandi di alta gamma ad alto consumo.
Fiat è all’altezza della sfida Chrysler?
Fiat deve rimettere Chrysler in condizione di essere competitiva con Gm e Ford che, grazie ai modelli che produce in Europa, ha già la cultura che serve. Chrysler deve impararla da Fiat. Il precedente storico della Daimler non è incoraggiante, ma la situazione è ora completamente diversa. Mentre al tempo di Daimler gli Usa erano la locomotiva indiscussa dell’economia mondiale, ora la crisi ha messo gli americani all’angolo e in condizione di inferiorità.
Dal punto di vista sociale e sindacale a suo avviso ci sono delle incognite che gravano sull’alleanza strategica?
Al contrario. La partecipazione dei lavoratori all’impresa si rivela un fattore assolutamente vantaggioso per Fiat. Poiché nell’impresa c’è il fondo pensione dei lavoratori ed esso desidera realizzare le azioni per poi investire in un portafoglio diversificato, quindi avere prima utili poi plusvalenze, i lavoratori saranno i migliori alleati di Marchionne perché sarà il loro primo interesse che l’impresa funzioni come si deve.
Il capitolo Opel è davvero chiuso per Fiat?
Mi sembrerebbe molto difficile poter rimettere a posto i cocci, e comunque c’erano obiettivamente molte difficoltà. Una di queste era la chiusura di qualche fabbrica. Non potevano essere chiuse in Italia, perché quelle Fiat sono nei luoghi a minor costo del lavoro in Europa quindi avrebbero dovuto sacrificarsi altri. Se Merkel stravince le elezioni e si ritrova senza socialdemocratici, potrebbe anche riaprire il discorso Fiat, seguendo le buone regole del mercato.
Un’ultima considerazione. Il mancato affare Opel ha penalizzato il grande disegno di Marchionne di costruire un top dealer mondiale?
Non credo. È meglio per Fiat concentrarsi su Chrysler per almeno un anno e rimandare l’apertura di una fase due a quando il successo dell’operazione Chrysler sarà consolidato.