Il trasporto ferroviario necessita di una riforma radicale; ad oggi, il settore è profondamente carente in concorrenza e gli operatori in competizione a Trenitalia, nel settore passeggeri non hanno conquistato quote di mercato. Il settore inoltre soffre di una mancanza di separazione tra il gestore della rete, Rete Ferroviaria Italiana e la compagnia ferroviaria dominante, Trenitalia. Entrambe sono partecipate al 100% da Ferrovie dello Stato Holding, la quale è totalmente pubblica, in quanto controllata solamente dal Ministero dell’Economia.



In questi giorni arriverà in aula alla Camera dei Deputati un disegno di legge che avrebbe il compito di riordinare il trasporto ferroviario, ma che in realtà rischia di complicare la situazione invece di risolverla. Non sono affrontati i nodi principali, quali la separazione tra gestore della rete e operatore dominante e al contempo si introducono norme che limitano la concorrenza.



Gli articoli del disegno di legge 1441-ter b che interessano il settore ferroviario, nell’accezione più ampia, vale a dire comprendendo anche il trasporto pubblico locale su ferro, sono quelli ricompresi tra il numero 58 e il numero 63. Il punto di maggiore debolezza di tale disegno di legge si ritrova all’articolo 59, il quale, dopo un primo comma che introduce i principi della concorrenza obbligatoriamente introdotti dalla normativa comunitaria, pone delle limitazioni a questa competizione.

Il secondo comma dell’articolo 59 dice: «Lo svolgimento di servizi ferroviari passeggeri in ambito nazionale, ivi compresa la parte di servizi internazionali svolta sul territorio italiano, può essere soggetto a limitazioni nel diritto di far salire e scendere passeggeri in stazioni situate lungo il percorso del servizio, nei casi in cui il loro esercizio possa compromettere l’equilibrio economico di un contratto di servizio pubblico in termini di redditività di tutti i servizi coperti da tale contratto, incluse le ripercussioni sul costo netto per le competenti autorità pubbliche titolari del contratto, domanda dei passeggeri, determinazione dei prezzi dei biglietti e relative modalità di emissione, ubicazione e numero delle fermate, orario e frequenza del nuovo servizio proposto».



Quella che potrebbe essere scambiata per una semplice introduzione di una clausola di reciprocità si trasforma invece in una misura anticoncorrenziale e rischia di diventare l’ennesimo spreco di denaro pubblico. La limitazione riguarda il diritto di far salire e scendere passeggeri in stazioni laddove esiste un onere di servizio pubblico, perché la concorrenza farebbe di fatto “male” all’operatore che opera in regime di servizio pubblico.

Ora, il servizio pubblico dovrebbe esistere laddove il mercato non riesce a supplire da solo alla domanda dei passeggeri e non dovrebbe essere messo a priori, vietando successivamente la concorrenza. Ad esempio, se tra Milano e Brescia una società ferroviaria è in grado di offrire un servizio di mercato, perché più efficiente di un operatore storico, questa non potrebbe comunque offrire un tale servizio senza contributi pubblici perché la sua entrata modifica la redditività dell’operatore che operava in regime di servizio pubblico e va in contrasto dunque con il secondo comma dell’articolo 59.

Si vieta allo Stato la possibilità di introdurre il mercato anche laddove questo sia in grado di soddisfare la domanda di mobilità dei cittadini e obbliga l’utilizzo dell’onere di servizio pubblico. Si obbliga lo Stato a pagare per un servizio che potrebbe essere effettuato senza versare un solo denaro pubblico.

Tale limitazione in realtà serve ad ridurre concorrenza nel trasporto pubblico ferroviario regionale e tende a difendere gli interessi dell’operatore dominante ed esistente. Questo comma secondo dovrebbe essere stralciato completamente, altrimenti si andrebbe incontro ad uno spreco di denaro pubblico.

Il settore ferroviario necessita di una riforma seria, con la creazione di un’autorità indipendente che possa dare a tutti gli operatori un grado di libertà di operare in concorrenza, senza distorsioni. Questa autorità non può essere creata, senza al contempo separare Trenitalia da RFI.

Attualmente Ferrovie dello Stato ricevono oltre 4 miliardi di euro l’anno di contributi e sussidi pubblici per operare, oltre agli aumenti di capitale che sono stati effettuati gli scorsi anni per completare l’infrastruttura ferroviaria.

I soldi dei contribuenti potrebbero essere spesi in maniera più efficace, se solo si decidesse di aprire alla concorrenza i servizi ferroviari e non obbligare lo Stato a spendere soldi laddove non ce n’è proprio bisogno.