«Abbiamo fatto degli errori, ma prima di buttarla sull’etica occorre capire cosa non ha funzionato». Dalla risposta a questa domanda dipende l’intervento per migliorare il sistema, o la sua condanna e quindi meno mercato e meno libertà. Di una cosa è certo, Pietro Modiano: una caccia all’untore non serve più. Le nostre imprese? «Sono entrate in questa crisi più forti di quanto non lo fossero di fronte alla crisi di quindici anni fa. In queste condizioni, la crisi colpisce un sistema altrimenti sano, è crisi ciclica, solo ciclica». Il momento attuale viene analizzato per ilsussidiario.net  dal presidente di Carlo Tassara, già direttore di Banca dei Territori di Intesa Sanpaolo.



Lei ha scritto che «è l’intero rischio di credito che è collassato, (…) non una parte eccentrica di quel mercato». E che «resta ancora molto da capire». Ma una spiegazione sistemica, per quanto complessa e aperta alla considerazione di nuove variabili, è sufficiente a spiegare la crisi?

Sono stato parte a lungo, e forse ne sono parte ancora adesso, di quel mondo che oggi è messo in discussione dalle sue fondamenta, e nessuno di noi può evitare di porsi la domanda “dove abbiamo sbagliato?” Lo faccio quotidianamente, per quanto riguarda le responsabilità che ho avuto, e l’esame è serio e severo. Ma il punto non è questo, l’etica è più esigente di così. Io non mi ritengo soddisfatto moralmente, e tanto meno mi occupo dell’etica altrui, se prima non ho capito abbastanza, e non ho una risposta, per esempio, alle domande seguenti: i mercati finanziari globali su cui abbiamo operato erano o non erano mercati, e il loro modello vicino a quello di mercati concorrenziali? Se sì, allora delle due l’una: o la crisi è nata perché qualcosa ha impedito ai mercati di funzionare come avrebbero dovuto, ed è su questo qualcosa che dobbiamo lavorare, con l’obiettivo alla fine di risanarli e potenziarli, oppure non c’è scampo: dobbiamo rivedere tutto, se anche in regime di concorrenza i prezzi vanno per conto loro, allora le bolle sono inevitabili, succederà di nuovo, il mondo è soggetto a catastrofi economiche periodiche, che mettono periodicamente in discussione il valore dei nostri risparmi.



E lei che risposta si è dato?

Nel primo caso dovremo avere non meno mercato, ma più regole a tutela di chi vi opera onestamente e in modo concorrenziale: più mercato, ma migliore; nel secondo no, dovremo pretendere più stato, meno concorrenza, meno libertà alla fine, con i rischi che ne conseguono. Non è la stessa cosa, non lo è proprio, ma per scegliere, più e prima dell’etica, ci aiuta la riflessione sui meccanismi profondi di comportamento delle economie (il dibattito nientemeno che sulla stabilità del capitalismo e dei sistemi finanziari e creditizi, che è cosa seria e complessa) ma anche – più modestamente – la ricerca dei meccanismi singoli, tecnici, magari difficili da scoprire, che hanno causato il malfunzionamento di un sistema altrimenti destinato a comportarsi meglio, nonostante gli umani limiti dei suoi protagonisti. A volte mi viene in mente che la peste è stata sconfitta non dalla caccia all’untore, ma da un modesto scienziato che ne ha scoperto l’origine in un batterio, annidato nelle pulci, annidate nei ratti. E certo, nel mercato finanziario globale, di batteri ce n’erano molti.



Lo stato delle banche in Usa ed Europa, per quanto le è dato di sapere, aggiunge qualcosa alla diagnosi della crisi, ai tempi e alle soluzioni per uscirne?

Qui abbiamo qualche buona notizia, di quelle che non vanno sulle prime pagine ma mi sembrano importanti. Dopo pochi mesi, alcune delle grandi banche americane oggetto di salvataggio dallo stato hanno cominciato a rimborsare gli aiuti. Questo vuol dire che hanno raggiunto una ragionevole certezza sul fatto, almeno, che non ci sono altri elementi tossici nei loro bilanci, e che le cose possono tornare alla normalità.

Passiamo alle nostre banche. Le banche italiane rischiano di più ora, con le nostre imprese in fase recessiva, di quanto abbiano sofferto per le ripercussioni dei subprime e dei derivati?

Le banche italiane hanno pochi titoli tossici. Risentono però della crisi mondiale, che si ripercuote sui loro rischi, e nello stesso tempo devono continuare ad affrontare i problemi che sono emersi anche prima della crisi, in termini di rapporto con i loro clienti. 

 

I Tremonti bond sono realmente necessari? Pensa che l’ingresso del Tesoro modificherà assetti e governance delle grandi banche?

Non ne so abbastanza, leggo i giornali. Certo, non ci sono emergenze, e la forma di sostegno che ha scelto il nostro governo mi pare lasci alle banche ogni responsabilità, di accedervi o no, e di come agire di conseguenza.

Si parla di credit crunch: quanto a proposito?

Manco dall’attività operativa da qualche mese, e gli ultimi sono stati mesi importanti per il ciclo economico. Ma mi pare che anche adesso si incrocino due tendenze inestricabili, e cioè una domanda di credito bassa, legata al freno degli investimenti e dei consumi, e un’offerta resa più prudente dai maggiori rischi. Difficile distinguere calo di domanda e credit crunch. E difficilissimo decidere, per gli uomini e le donne di banca, in queste condizioni.

Mentre Berlusconi e Tremonti spingono perché il sistema bancario pompi credito nelle imprese, la Banca d’Italia di Draghi teme che le banche si carichino di prestiti pericolosi a imprese che non lo meritano. Qual è la “soluzione” del dilemma?

Appunto, è un dilemma, e va affrontato caso per caso, seriamente, con la capacità allocativa e la professionalità di ogni banca, che è un valore da tutelare e stimolare. Può aiutare però una considerazione generale: le imprese manifatturiere italiane sono entrate in questa crisi più forti di quanto non lo fossero di fronte alla crisi di quindici anni fa. Più patrimonializzate, con meno debiti a breve, non più bisognose di svalutazioni competitive, più forti in termini di prodotti e mercati. E, come dicono le recenti revisioni della contabilità nazionale, con livelli di produttività non così distanti da quelle dei concorrenti migliori. In queste condizioni, la crisi colpisce un sistema altrimenti sano, è crisi ciclica, solo ciclica. Quando la domanda mondiale si riprenderà, potremmo esserci quasi tutti. Troppa selezione oggi rischia di far cadere imprese destinate, se accompagnate fino alla fine della crisi, a sopravvivere e poi prosperare di nuovo, più di quanto non fosse in passato.

La Ue sta varando le prime forme di vigilanza sovrannazionale: è d’accordo sull’istituzione di un authority integrata? Secondo lei è meglio che lo faccia la Bce o che venga istituita un nuovo supervisore indipendente?

Non lo so. Ma so che un’autorità sovranazionale che assume un nuovo ruolo deve essere percepita da subito come molto autorevole in quel ruolo. E la Bce l’autorevolezza se la è già conquistata.

L’“Europa di Maastricht” riceve sempre più critiche, come simbolo di un’Europa centrata su un modello economico non più all’altezza della sua vocazione storica. L’Europa di Maastricht è finita? Di quale nuovo modello economico europeo abbiamo bisogno?

L’Europa: forse sottovalutiamo questa strana Europa a 27, e quanto sia stata e sia importante per la stabilità del mondo per il fatto stesso di esistere. Ieri, nel mezzo di possibili rinnovate tensioni fra i blocchi, penso alla Georgia, e oggi, nel mezzo di una crisi che potrebbe facilmente portare a nuovi egoismi, nuovi particolarismi e nazionalismi. Questa Europa c’è, e guai se per fare di meglio ne indeboliamo l’impianto ancora fragile. Altra, certo, è l’Europa che sogniamo, un’Europa con un’anima e un progetto collettivo, un senso di sé collettivo: forse non la vedremo, ma intanto non smettiamo di volerla, e tuteliamo quello che c’è, la base su cui costruirla.