E alla fine, purtroppo, un’altra previsione ha trovato conferma. Tre degli otto eurodeputati eletti dalla Lettonia sono dichiaratamente pro-Cremlino e provengono dalle file dell’ex partito comunista, sono ferocemente anti-occidentali e anti-capitalisti. Insomma, l’assurda politica di integrazione europea a tutti i costi e soprattutto l’incauto sistema di collegamento tra monete locali ed euro ha consegnato l’anima e le speranze dei Paesi Baltici a Vladimir Putin su un piatto d’argento.



Il malcontento cresce di giorno in giorno: «È ora di prenderci le strade», ha dichiarato il leader sindacale Valdis Keris. Un vero capolavoro geopolitico dell’Unione Europea e della Bce, una scelta strategica azzardata e persa che oltre alle ripercussioni sul piano politico e sociale rischia di averne anche dal punto di vista finanziario per tutto il continente. La Lettonia ha licenziato un terzo di tutti i suoi insegnanti, il welfare state è stato smantellato e le pensioni per chi ancora ha un lavoro saranno tagliate del 70%, la disoccupazione è salita dal 6 al 17 per cento, i salari di poliziotti, infermiere e medici saranno tagliati del 20% e il supporto statale per i senza lavoro sta esaurendosi, tanto che si arriverà a meno di 40 euro al mese.



Insomma, una situazione esplosiva che rischia di contagiare gli stati confinanti e innescare un pericoloso effetto domino in un’area strategicamente importante come il Baltico. Tanto che, con la consueta lucidità di analisi, ieri sul Daily Telegraph Ambrose Evans-Pritchard stilava uno spaventoso parallelo tra la situazione lettone e quella argentina del default. Anche Buenos Aires tra il 1999 e il 2000 poteva vantare un surplus ma la rivalutazione del dollaro contro Brasile e Europa devastò l’export portando a una contrazione dell’economia su base annua del 5%: quest’anno quella della Lettonia si è contratta del 20%!



La situazione uscì dai binari del controllo quando nel dicembre del 2001 il presidente Fernando de la Rua ordinò il blocco dei prelievi bancari, sia nelle filiali che nei bancomat: scioperi e manifestazioni di piazza divamparono in un istante trasformandosi in fretta in atti di vera e propria guerriglia urbana. Il 17 di dicembre de la Rua ordinò il taglio del 20% della spesa pubblica, esattamente quanto appena legiferato dal parlamento lettone. Il resto è storia: i peronisti pronti a sobillare le piazze, l’esercito che si rifiutava di agire senza il diretto ordine del congresso, de la Rua che indice lo stato di emergenza ma soprattutto 27 morti il 20 di dicembre nelle strade.

Poi la resa: il presidente, costretto nella Casa Rosada da un folla inferocita, fugge all’estero con un elicottero militare, il paese conosce l’onta democratica di cinque presidenti in due settimane ma alla fine decide di convertire i mutui indicizzati in dollari – il 90% di quelli immobiliari – in pesos, regalando ai creditori esteri un taglio del 70% ma garantendo al tempo stesso al paese di poter ripartire: in fin dei conti negli anni Trenta Gran Bretagna e Usa fecero lo stesso per salvare se stesse e il capitalismo.

Per evitare una svalutazione del trenta per cento della sua moneta, Riga ha conosciuto un tasso overnight del 200% e la sua banca centrale ha bruciato in una notte il 10% di tutte le sue riserve. Ora, in un gioco atroce, ci troviamo costretti a sperare che la Lettonia vada a gambe all’aria e finisca sotto le grinfie del Cremlino, devastando l’idea stessa di Europa unita e indipendente ma preservando in questo modo l’Occidente e i suoi 1,6 trilioni di euro di esposizione nel mercato dell’Est da un effetto domino che dopo aver bruciato il Baltico e buona parte dell’Europa dell’Est minaccerebbe il continente e la sua stabilità a causa del contraccolpo diretto che ne subirebbe la Bulgaria e di riflesso la Grecia, il tallone d’Achille dell’Ue.

Andate a vedervi i cds sul rischio di default greco dall’inizio della crisi lettone e capirete a cosa rischiamo di andare incontro se Fondo Monetario, Bce e Unione Europea non agiscono subito. Sono pronte l’Europa, la Svezia e la Svizzera a vedere i loro mutui indicizzati nella regione tramutati da euro e franchi in lat, con un taglio netto e una perdita simile a quella patita dai creditori argentini pur di non vedere un pezzo di Est finire sotto l’influenza diretta della Russia?

Forse è questo il tipo di informazione europea di cui abbiamo bisogno e che invocava a gran voce anche Mario Mauro nel suo ottimo articolo dell’altro giorno: Bruxelles, se davvero c’è, batta un colpo. Di tempo da perdere, prima di avere le piazze di Riga piene di una folla schiumante rabbia, ne è rimasto davvero poco.