Pessimismo od ottimismo? Le tendenze correnti mostrano una caduta del Pil in Italia attorno al 6% per il 2009. Le stime sull’entità della ripresa nel 2010 fanno prevedere che sarà poca e quindi lenta, cioè una crescita tra lo 0,5 e lo 0,8%. Per tutta l’eurozona lo scenario è simile – crisi pesante, e ripresa stentata – ma per l’Italia è più brutto di altri perché il debito e l’inefficienza del sistema riducono la vitalità del mercato più che altrove.



Confindustria valuta che con i ritmi di ripresa ora prevedibili ci vorranno almeno cinque anni per tornare ai livelli di Pil del 2008. Comprensibilmente chiede al governo azioni straordinarie per evitare una tale stagnazione prolungata, densa di pericoli di deindustrializzazione e disoccupazione. Ma cosa potrà fare il governo realmente?



La probabilità che la ripresa sia lenta è, al momento, elevata per il seguente motivo. La recessione è dovuta principalmente al crollo del commercio internazionale trainato dalla locomotiva americana. L’America sta uscendo dalla crisi, ma ci vorrà del tempo prima che i consumatori gravati da un enorme debito privato ricostruiscano i loro risparmi e la propensione a spendere. Quindi, semplificando, la locomotiva tirerà solo a mezza forza per un periodo tra i due e i quattro anni. Ciò significa che tutte le economie dipendenti più dall’export che dalla crescita interna dovranno bilanciare la riduzione del primo aumentando la seconda.



In sintesi, il problema di gestione della crisi, una volta assorbito il primo impatto, consiste nella necessità delle economie esportatrici di riconvertirsi per fare più crescita interna. E tale problema implica un vero e proprio cambio di modello. Infatti le categorie produttive invocano riforme di sistema, con questo intendendo la riduzione dei costi dello Stato affinché più denaro possa andare al servizio della detassazione stimolativa, mantenendo l’equilibrio del bilancio pubblico.

La richiesta è giustificata. Ma non è pensabile che amministrazioni statali e locali si mettano a licenziare personale in grandi volumi e presto. Così come è improbabile che i partiti rinuncino a un portafoglio di spesa pubblica discrezionale, in forma di aiuti o finanziamenti pubblici, che permette loro di esercitare potere reale, per lo più opaco. Inoltre in fase di recessione il taglio della spesa pubblica ha un effetto peggiorativo.

La giusta richiesta in teoria di cambiare modello spostando più capitale dal ciclo burocratico/assistenziale dello Stato al mercato – per esempio più soldi e meno tasse in busta paga – si scontra con enormi problemi di fattibilità tecnica e politica. Peggiorati dal problema del mostruoso debito che impone l’equilibrio di bilancio e limita il ricorso al deficit stimolativo.

Inoltre l’Italia non ha più sovranità monetaria e quella del bilancio è limitata perché regolata da parametri europei. Infatti il governo si prepara a misure solo minime: allungare la cassa integrazione per attutire i licenziamenti, dare incentivi alle imprese che non licenziano, fare un po’ di soldi via nuovo scudo fiscale, ecc. Tali azioni non cambieranno il modello, pur aiutandolo a “tenere”, e ciò renderà la ripresa lenta, dipendente da quella globale.

Realisticamente, non aspettatevi altro dal governo e sarà tanto se riuscirà a fare almeno questo. Sulle capacità di riforma dell’Italia (e dell’eurozona) dobbiamo essere pessimisti. Ma possiamo essere un po’ più ottimisti sulla ripresa globale. Nonostante rischi di neoprotezionismo e instabilità di ogni tipo prevale nel pianeta una tendenza alla ripresa che in un paio d’anni permetterà anche all’Italia, ed eurozona, vagone di ripartire.

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