Perfino il presidente Mao, che tanto amava il disordine sopra il cielo potrebbe trovare eccessivo il caos (o peggio…) che distingue la politica del Bel Paese, ormai più ispirata da Boccaccio che da Machiavelli. Eppure, la congiuntura che s’annuncia è così tempestosa da richiedere più che mai le armi del buon governo, che si tratti di Cattaneo oppure di Cavour poco importa. Chissà, una volta archiviata una contesa elettorale condita di arsenico allo stato puro, il Timoniere del governo, tanto per riprendere l’immagine di Mao, riprenderà la sua navigazione, come ha promesso. Forse, come spesso è accaduto nella storia italiana, sarà l’emergenza economica ad imporre un colpo di reni provvidenziale che impedisca la prevalenza del peggio. Forse, ahimè, la risposta sarà insufficiente, con ricadute drammatiche, visto che la congiuntura non farà sconti a nessuno. Ma è un’eventualità a cui, per ora, è meglio non pensare.
Ma quale agenda suggerire all’esecutivo? Innanzitutto, fare piuttosto che annunciare. In economia, ma non solo. O non soprattutto. Meglio, per intenderci, tener da conto le poche cartucce a disposizione (strategia Tremonti) piuttosto che sbandierare promesse (ricostruzione a tempi da record per l’Abruzzo) prima di calcolare i costi. Ci vuole un mix tra impegni di lungo respiro (il federalismo fiscale) e capacità di governare il presente.
L’emergenza numero uno, al proposito, è il credito. Avrà pur ragione Tremonti a contestare, con trasparente riferimento alla Banca d’Italia, la propensione degli «uffici studi ad operare come uffici piuttosto che a studiare» un’economia, quella italiana dominata dalle partite Iva, dal risparmio e da altri ammortizzatori «fai da te» della crisi.
Ma i dati in arrivo dalla Lombardia non ammettono discussioni: i prestiti bancari sono dimezzati nel 2008 rispetto al 2007. Il trend, nel 2009, ha preso velocità. Tra le imprese sotto i 20 dipendenti, ovvero proprio le famose partite Iva, quasi un’azienda su quattro ha chiuso l’esercizio 2008 in perdita. Certo, finora l’Italia delle pmi ha retto. Così come hanno tenuto i bilanci delle famiglie e l’occupazione, nonostante per mesi si sia paventata l’emorragia dei “precari” che finora non c’è stata. Ma la resistenza ha un limite. I conti del 2009 saranno ben peggiori di quelli dell’anno passato. La rete della protezione famigliare ha i suoi limiti, la resistenza dei Brambilla pure. Chissà che effetto avrà fatto l’affermazione di Corrado Passera («Siamo pieni di capitali, ma mancano le idee…») all’esercito delle imprese artigiane di Lombardia e non solo: il problema loro non è di bussare per aver nuovi quattrini. Bensì di non dover rientrare con preavvisi minimi dai fidi già concessi.
Che può fare il governo? Molto, se sarà in grado di attivare garanzie temporanee a sostegno del credito delle imprese. Moltissimo, se saprà varare in tempi rapidi un provvedimento temporaneo di detassazione degli ammortamenti anticipati, offrendo agli imprenditori più liquidi (non mancano…) l’occasione per rinnovare gli impianti per prepararsi alla ripresa nelle condizioni ideali. Ancor di più, se attiverà meccanismi in grado di amplificare le iniziative di social housing già in cantiere sotto l’ombrello delle Fondazioni. Infine, invece di mandare i prefetti in banca, è probabilmente più efficace condizionare gli sgravi fiscali sulle sofferenze (invocati dai banchieri) all’attivazione di meccanismi di erogazione del credito.
Questo ed altro si può fare nel breve, oltre e prima dello scudo fiscale che va attivato assieme al resto d’Europa e non in ordine sparso. L’obiettivo è di creare opportunità di lavoro. E far lavorare il settore privato (a quando la valorizzazione del risparmio con obbligazioni legate ad iniziative specifiche come nei mitici anni ‘60?), le Fondazioni ed il resto del pubblico in un’ottica di collaborazione e di sinergia. È una formula che trova non poche applicazioni vincenti nella società civile, a partire dalle Fondazioni. Può essere la ricetta giusta, anche se non unica (finalmente dovranno partire i progetti preparati dal ministro Scajola) per scaricare tutta la potenza di un tessuto sociale che ha l’handicap di un debito pubblico elevato ma, a suo vantaggio, conta banche ben più solide della concorrenza e famiglie con pochi debiti. Può essere la ricetta giusta, o almeno la filosofia, per superare la guerra dei rotocalchi che tanti guasti minaccia di provocare in vista di un autunno che sarà rovente. In parte per colpa nostra.