Negli ultimi mesi si è parlato molto del settore automotive; tutti i Governi hanno agito al fine di limitare la crisi con misure di incentivi. Alcune amministrazioni sono addirittura intervenute direttamente per salvare alcune case automobilistiche, come è stato il caso di Chrysler e General Motors. Le vicende Fiat e la campagna di acquisizione estera del gruppo torinese, con il successo statunitense e l’attuale sconfitta teutonica, hanno certamente aumentato l’interesse dell’opinione pubblica verso questo settore.



Il settore dell’auto è certamente molto importante nel mondo e in Europa; è meno importante in Italia. Il nostro Paese è si il secondo paese per numero di nuove immatricolazioni con oltre 2,1 milioni di veicoli venduti nel 2008, dietro la Germania, ma da un punto di vista produttivo e industriale è certamente molto meno rilevante. Infatti in Italia nel 2008 si sono prodotti circa 700 mila veicoli, meno di quanti siano state prodotti in Belgio, Polonia o Repubblica Ceca. La quasi totalità degli autoveicoli, il 97%, sono stati prodotti da un unico produttore: Fiat Automobile Group.



Esiste un settore che molto spesso è dimenticato e del quale se ne parla poco e che tuttavia in Italia ha maggiore importanza rispetto al mondo automotive: il turismo. Esso vale circa il 10% del Prodotto interno lordo nazionale e riesce a dare occupazione a diversi milioni di occupati sia in maniera diretta che tramite l’indotto; nel settore infatti vi lavorano circa 2,5 milioni di persone. Tale settore economico, da poco con un nuovo Ministero, è stato troppo a lungo sottovalutato e soffre di alcuni mali tipici italiani.

Il nostro Paese è quello con il maggior numero di opere d’arte e ha delle potenzialità enormi; per molti anni è stato nella “top 3” mondiale di arrivi, ma da diversi anni non è in grado di rispondere alle esigenze di una clientela sempre più internazionale e sempre più esigente.



Significativa è la bocciatura del “The Travel and Tourism Competitiveness Report 2009” effettuato dal World Economic Forum. L’Italia risulta essere al ventottesimo posto con debolezze soprattutto nella competitività di prezzo e nella regolazione del settore e raggiunge un punteggio molto inferiore rispetto a Francia e Spagna, che possono essere definiti come diretti concorrenti.

La mancanza di una regia accentrata da parte del Governo, a causa della concorrenza delle competenze tra Stato e Regioni, dovuta alla riforma del titolo quinto della Costituzione effettuata nel 2001, aveva di fatto lasciato spazio ad over-regulation del settore. Le Regioni sono per lungo tempo intervenute senza aver una mission chiara e senza che si riuscisse ad esportare un’immagine chiara e unitaria del marchio Italia all’estero. Il caso più eclatante è forse stato il fallimento del sito dedicato al turismo italiano (Italia.it), ri-lanciato più volte, e che si è dimostrato essere invece uno spreco di risorse pubbliche.

Un altro problema che affligge il settore è quello relativo alle nostre strutture ricettive; queste sono spesso molto piccole rispetto a quelle degli altri paesi europei e in Italia mancano dei forti gruppi alberghieri in grado di saper fare massa critica. Non è tanto necessario che esista un gruppo italiano, quanto che i grandi gruppi stranieri siano attratti per investire in modo che possano sviluppare il settore turistico.

Le strategie di espansione di alcuni gruppi esteri importanti, tra i quali la francese Accor e la spagnola NH, vanno certamente nella direzione giusta. Tuttavia, molto spesso le catene alberghiere non si trovano delle controparti adeguate a livello delle agenzie della promozione turistica.

Se dal lato dell’offerta esiste dunque un problema di frammentazione, con un sistema alberghiero con strutture piccole e familiari (come tipico di tutte le aziende italiane), è presente un altro problema da non sottovalutare relativa alla domanda: l’incapacità italiana di saper attrarre turisti stranieri con grandi operatori incoming. In Italia, infatti, non esistono tour operator a livello di quelli presenti negli altri Paesi europei, che sappiano offrire il prodotto Italia, in modo capillare in gran parte dei paesi del mondo.

Le soluzioni non sono dunque facili da trovare, ma in parte potrebbe essere seguito l’esempio spagnolo; innanzitutto è necessario che l’Italia sia in grado di raccogliere tutte le informazioni relative agli arrivi, alle presenze e alla spesa turistica, in maniera più completa e aggiornata possibile. L’esempio de “Instituto de Estudios Turisticos” potrebbe essere replicato nel nuovo Ministero guidato da Michela Brambilla in modo che si possa partire da una base di dati completa ed utile per ripensare le politiche nel settore.

In secondo luogo è necessario abbassare la pressione fiscale per gli operatori del settori, che rispetto a Paesi quali Spagna e Francia, soffrono di una maggiore IVA e di una tassazione generalmente più elevata.

Ultimo, ma non meno importante, è necessario elevare il livello di competitività del paese Italia; se gli investitori esteri non portano capitali, nel settore turistico, cosi come in quello automobilistico, è perché in Italia mancano politiche adeguate che favoriscano il mercato e che eliminino la troppa burocrazia presente.

Devono essere dunque prese poche ma decise azioni in modo da favorire la competitività del turismo, che per troppi anni ha sofferto i mali tipici dell’Italia.