Si dice che in campo economico non è facile conciliare la razionalità con il senso morale, perché spesso i comportamenti assunti dagli operatori per conseguire gli obiettivi economici appaiono in contrasto con gli obiettivi etici.

Ciò è senz’altro vero se, con riferimento all’imprenditore e all’impresa in generale, la razionalità è utilizzata per ottenere un profitto di breve periodo, inteso come tornaconto individuale da ricercare con ogni mezzo. In questo caso la razionalità è usata in modo opportunistico ed egoistico, mentre non confligge con il senso morale quando il profitto è concepito come un surplus necessario a mantenere vitale l’impresa, assicurandone un duraturo sviluppo.



Tuttavia la ricerca del profitto per la sostenibilità dell’impresa, anche se supportata da principi di onestà, risponde soprattutto a un codice di moralità mercantile nel quale non sempre sono considerate quelle finalità etiche di ordine superiore che ritroviamo nei documenti del Magistero della Chiesa e che in sintesi possiamo indicare come l’orientamento al sociale e al servizio del prossimo.



Ma cosa significa per un imprenditore credente coniugare sinergicamente il conseguimento di un profitto di lungo periodo e fornire un servizio al prossimo? Significa mettere in atto non solo un insieme di comportamenti con i quali egli intende fare ogni sforzo per assicurare alla sua azienda una prospettiva di crescita durevole, ma anche darsi carico delle istanze che gli giungono dalla realtà circostante, in primo luogo dalla sua impresa quale comunità di persone.

Peraltro questo paradigma richiede, a mio avviso, una particolare enfasi non tanto sulla realtà oggettiva e strutturale dell’impresa (non credo si possa concepire l’esistenza di una impresa specificamente cristiana), quanto invece sulla “professione” dell’imprenditore cristiano consapevole, come già detto, che l’attività che svolge deve essere sostenuta anche da motivazioni etiche e religiose.



L’orientamento dell’imprenditore che si ispira a una etica cristiana si può osservare sotto due aspetti: uno riguarda i rapporti dell’impresa verso l’esterno e l’altro i rapporti interni. Tra i primi non ci sono dubbi sulla rilevanza, ad esempio, della tutela dell’ambiente; tra i secondi si includono le soluzioni da trovare affinchè le logiche che sovraintendono alla vitalità dell’impresa, compreso il profitto e tenuto conto che l’imprenditore rischia in proprio, non compromettano il principio per il quale anche nell’impresa deve prevalere il riconoscimento della dignità dell’uomo, in qualunque ruolo egli sia inserito.

Consegue che l’azione imprenditoriale è posta di fronte a una serie di rilevanti problemi dei quali uno in particolare, nel nostro tempo, merita attenzione perché interpella profondamente la coscienza di chi deve decidere. Mi riferisco alle relazioni con i propri dipendenti quando, in situazioni di difficoltà dell’impresa, sia necessario contenere i costi di gestione, ricorrendo a una riduzione delle unità occupate.

In base alla razionalità, la giustificazione di un tale atteggiamento porterebbe a concludere che il sacrificio di una parte delle maestranze consente di salvaguardare l’impresa e quindi l’occupazione di chi continua a lavorare in azienda. Il senso morale ispirato cristianamente propone invece di esperire ogni mezzo prima di giungere a una soluzione così drastica, ripartendo i sacrifici tra tutti gli stakeholder.

L’imprenditore deve perciò valutare gli effetti sul piano sociale di una decisione che colpisce le esigenze vitali dei propri dipendenti e delle loro famiglie. Nel contempo egli deve interrogarsi sulla percorribilità di altre strade per evitare, con le parole del Papa, «la ferita della disoccupazione» e contribuire alla costruzione di una società «dove la solidarietà sia espressa da segni concreti». Si tratta, a tutta evidenza, di “gesti” che il senso morale cristiano indica come fondamentali per esprimere solidarietà alle persone di cui è a rischio il lavoro in azienda e perciò il salario.

Certo non è semplice per un imprenditore cristianamente orientato agire in un mercato in cui prevale un sistema di valori troppo spesso basati sulla sufficienza dell’azione correttiva della “mano invisibile”, salvo poi, come vediamo oggi in un momento di crisi, invocare interventi pubblici in cui è difficile discernere motivazioni autenticamente etiche. Ma è anche vero che queste sono le situazioni nelle quali la Fede deve esprimere anche in azienda i principi del messaggio cristiano basato sull’eminente dignità dell’uomo.