Il governo ha varato nuove misure anticrisi, ma il dibattito sul credito rimane aperto. Settimana scorsa il ministro Tremonti ha detto che il credito alle imprese rimane scarso, nonostante le misure adottate. «Sul credito il problema è ancora aperto ed è ancora aperta la domanda di responsabilità» ha detto il ministro. Ma Passera  gli ha risposto che le banche hanno decine di miliardi inutilizzati e Salza ha rincarato la dose: il credito? «Quelli che ce lo chiedono non sono in condizioni di ottenerlo, sono aziende che sarebbe un errore finanziare». Abbiamo chiesto l’opinione di Ettore Gotti Tedeschi, economista.



Professore, chi ha ragione, Tremonti o Passera?

E evidente che Tremonti è preoccupato che la massa monetaria messa a disposizione dal sistema circoli per andare alle imprese e questo non succede. D’altra parte non ha torto Passera quando dice che le banche sarebbero felici di poter fare credito: non si può e non si deve pensare, infatti, che il loro unico scopo, dalla crisi in poi, sia quello di patrimonializzarsi. Ma ha ragione anche Salza: i tempi sono cambiati e con essi la percezione del rischio. Incombe, davanti alla nostra economia reale, un periodo molto difficile. Come ha detto di recente Michele Perini, per capire realmente la portata della crisi occorre aspettare settembre: perché non tutte le imprese, c’è da starne certi, riapriranno dopo le ferie. Siamo nel mezzo di un rischio di crollo dal 30 al 50% degli ordini. È naturale che le banche assumano un atteggiamento prudente.



Le banche impongono allora condizioni più difficili?

Guardi, c’è anche un fatto che normalmente dimentichiamo. Fino a ieri le banche, soprattutto verso le medie imprese, accettavano il cosiddetto sconfinamento dal fido, che valeva tra il 20 e il 30% dell’affidamento totale. Oggi questo equivale ad un minor credito del 20-30%, che sicuramente crea problemi al sistema, soprattutto alle medie imprese, che sono quelle ad aver bisogno di maggior credito. Attualmente le grandi imprese, quelle che hanno un indotto forte, si stanno “finanziando” mediante un rallentamento dei termini di pagamento. Con l’effetto di creare un maggior fabbisogno di credito da parte delle imprese piccole e medie.



La Bce nel suo ultimo Rapporto sulla stabilità finanziaria si attende ulteriori svalutazioni su titoli e prestiti per 283 miliardi di dollari tra il 2009 e il 2010 da parte delle banche continentali. La loro solidità patrimoniale non è più al sicuro?

Il problema non è tanto la solidità patrimoniale, ma il mercato interbancario: le banche non si affidano fra loro perché ognuna sospetta che l’altra si trascini dietro, da molto tempo, crediti dubbi e insoluti che sono stati in qualche modo coperti da fondi specifici di rischio in maniera non adeguata. Ecco perché la Bce vuole che i bilanci siano al massimo della trasparenza, anche con prudenza esagerata, ma che si faccia finalmente luce sulla situazione patrimoniale, una volta per tutte.

È una preoccupazione giustificata?

Ritengo che possa aver ragione, perché molto probabilmente i fondi a copertura del rischio di insoluti sono sottovalutati – mi passi una stima – del 50% nei confronti del rischio. Ed è quindi possibile e auspicabile che su questo punto si faccia chiarezza definitivamente. D’altra parte non c’era bisogno della Bce, perché mi pare che la Banca d’Italia lo stia cercando di fare da tempo.

È d’accordo sull’istituzione di un’autorità di vigilanza finanziaria sovranazionale europea che faccia capo alla Bce?

Ritengo che la Banca d’Italia di Draghi faccia adeguatamente il suo mestiere. Nessuno più di Draghi, in qualità di presidente del Financial Stability Board, può dire se c’è bisogno o no di questa istituzione. Le dirò di più: soltanto se lo dicesse Draghi io crederei alla sua utilità.

Secondo lei possiamo sperare in una ripresa italiana dal 2010, come sembrano dire le più caute previsioni?

Di una cosa sono convinto: questo è il momento ideale per fare le riforme. Il governo, se vuole, è nella condizione di poterlo fare come mai è accaduto in passato. Tremonti finora ha fatto le cose giuste: ora bisogna mettere le riforme strutturali dentro un piano strategico complessivo di risanamento, da attuare entro fine anno. Se lo facessimo davvero, l’Italia sarebbe il paese in Europa con le maggiori possibilità di rilancio, perché la nostra struttura industriale è forte ed è in mano ai migliori imprenditori del mondo. Questo è il nostro vantaggio competitivo.

In questo piano strategico cosa c’è scritto alla voce “banche”?

Che si devono ripulire i conti delle banche e che le banche devono incominciare a interloquire con le migliori imprese. Lei vedrà se allora in un anno e mezzo non si risana l’economia italiana. Certo, all’interno di una situazione globale che rimane per tutti problematica e difficile, molto difficile.

In molti suoi scritti lei ha fornito una sua chiave di lettura della crisi economica. Che cosa non ha funzionato?

La crisi è originata da una serie di espedienti di politica economica adottati dal governo degli Stati Uniti per sostenere una crescita economica troppa bassa. Perché la crescita fosse così bassa, è il tema di un’altra puntata. Che cosa è stato usato invece per sostenere la crescita economica? Una serie di decisioni di carattere strategico e strumenti di carattere operativo totalmente sbagliati, che hanno progressivamente peggiorato la situazione e creato distruzione anziché moltiplicazione di ricchezza. Si da la colpa ai regolamenti. Ebbene, i regolamenti c’erano e i regolatori pure. Ma chiudevano gli occhi.

Ma allora serve più etica: più regole per arrivare a una finanza più virtuosa. È d’accordo?

Quando è arrivato il crack, i maestri di morale ci hanno puntualmente ricordato che mancano i valori. Ma io le chiedo: l’etica si legifera? Si insegna all’università? No, perché l’etica o si vive personalmente o non è. Come si fa allora a meravigliarsi che manchi l’etica quando non la si vive più da almeno una generazione, se non a livello individuale? Siamo entrati in una forma di relativismo morale, accettato e voluto, e la finanza fa parte oggi di questo contesto privo di valori.

La crisi finanziaria è stata il prodotto coerente di questo relativismo?

Certamente. Tentar di capire quello che è avvenuto facendo ricorso non a fattori morali ma ad argomentazioni prettamente tecniche vuol dire mettersi subito fuori strada. È stata una crisi morale a far sì che noi sostituissimo ad una crescita economica intelligente una crescita stupida, egoistica, inconsistente e insostenibile, portando il sistema di individui e famiglie dal generare risparmi al generare debito per anticipare anni e anni di consumi futuri.

Lei sembra accusare il sistema di avere strumentalizzato le persone. È così?

Le dirò di più: è possibile leggere la crisi come un radicale rovesciamento dell’ordine sussidiario che dovrebbe sussistere tra le persone e lo stato. La politica economica Usa, per poter garantire uno sviluppo economico ad ogni costo – anche a costo di avere un Pil drogato – ha fatto indebitare le famiglie al limite dell’inverosimile, indebolendole. Le famiglie americane hanno perso gran parte del valore dei loro investimenti, del loro fondo pensione e persino della loro casa. È stata applicata una politica economica di sussidiarietà rovesciata e quindi perversa, poiché lo stato ha sussidiato il cittadino, ma in modo strumentale ai suoi bisogni di potere. Col risultato finale, che certo non si aspettava, di distruggere non solo l’uomo-risparmiatore, ma anche l’intero sistema finanziario.