Fiat riparte da sei, come il numero delle compagnie automobilistiche che resteranno sulla scena mondiale al termine di un risiko ancora tutto da decifrare. E come i milioni di veicoli da produrre ogni anno per non diventare la prossima preda sul mercato. L’amministratore delegato del Lingotto, Sergio Marchionne, lo sa bene e lavora su più fronti.



Digerita la perdita di Opel (anche se l’esperienza insegna che la complessità di certe operazioni non esclude colpi di scena improvvisi) la Fiat potrebbe mettere le mani sulla svedese Saab, un marchio con una buona reputazione che negli Usa gode anche di una discreta rete di vendita ma che da solo non ha la possibilità di sopravvivere.



Ma c’è di più. Il Lingotto ha il suo asso nella manica in Peugeot che da sempre molti analisti ritengono la vera trattativa su cui sta lavorando Marchionne. Del resto la stessa Peugeot apre alla possibilità di alleanze, mentre Porsche vuole stringere i tempi per l’integrazione con Volkswagen. Il problema sono gli equilibri. Il gruppo francese intende restare indipendente o comunque azionista di riferimento in seguito alla nuova possibile alleanza. La meta è lontana ma la disponibilità dei francesi a trattare manifesta un passo avanti. «Le alleanze e le cooperazioni industriali non sono più sufficienti» ha ripetuto spesso Marchionne negli ultimi mesi. Serve una visione più ampia.



La partita sull’auto si gioca a livello mondiale. Mentre il colosso americano dell’auto General Motors ha avuto l’accesso alla bancarotta controllata, il cosiddetto Chapter 11, la Fiat ha definitivamente messo al sicuro il 20% di Chrysler. Il tribunale per la bancarotta di New York ha dato il via libera alla vendita degli asset buoni di Chrysler a una nuova società controllata per il 20% dal Lingotto, per il 12% dai governi americano e canadese e per il 68% dal sindacato. Una vittoria quella di Marchionne che porta la firma del presidente Usa Barack Obama che ha aperto alla Fiat la portiera della società americana.

In un mercato impazzito e senza regole, si assiste così a una crisi di identità grave almeno quanto quella economica. La Germania, d’accordo con Gm, dice no al piano industriale di Fiat per Opel preferendo la soluzione politica (o petrolifera?) di Magna e dei russi. La stessa Gm, che ha in pancia Opel, finirà al 60% sotto il controllo del Tesoro americano e dirà addio alla borsa dall’8 giugno prossimo.

Per carità, per come stanno andando le cose forse dal mercato bisognerebbe eliminare la maggior parte delle società quotate visto che i piani industriali non contano nulla, i bilanci idem e gli aiuti e le ingerenze di Stato dovrebbero essere sospese per eccesso di rialzo. Ma questo è un altro discorso che poco ha a che fare con il libero mercato disegnato da Adam Smith.

Torniamo alle auto. Gm dovrebbe tenersi i marchi Chevrolet, Cadillac, Buick e GMC mentre Hummer e Saturn già sono destinati alla vendita. Marchionne proverà ad approfittare della situazione per fare uno shopping mirato, magari sulle attività sud americane di Gm. Ma sono il destino delle altre case europee e le prospettive sui principali mercati emergenti (America Latina, Sudafrica, Cina) quelle che interessano il manager italiano.

Se in India, grazie alla partnership con Tata, le basi per il futuro sono state gettate, il vero problema della Fiat è in Cina dove la sua presenza è praticamente nulla. Ecco perché sulla scacchiera planetaria la strada di Fiat è tutta in salita ma se non altro ha un vantaggio: Marchionne sa bene qual è la rotta da seguire.