Nel giro di poche ore la porta tedesca che sembrava serrata per sempre si riapre improvvisamente e quella sudamericana si chiude. O almeno diventa un molto più stretta. L’intreccio tra le vicende di Fiat e di General Motors è così complicato che la passata tresca, quella iniziata da Paolo Fresco nel 2000 e conclusa da Sergio Marchionne tre anni fa con un incasso netto di 1,55 milioni di euro, sembra, al confronto, una storiella per bambini.



Da una parte, dopo che sembrava perduta per sempre, Opel torna alle viste del Lingotto. Il numero uno di Magna Frank Stronach ha dichiarato che la salvezza l’azienda tedesca di automobili non è ancora garantita ma che confida di non dover portare i libri in tribunale, il premier tedesco Angela Merkel ha detto che l’accordo con il colosso dei componenti austro canadese non è vincolante e il portavoce del governo di Berlino ha fatto notare che si tratta di un memorandum di intenti che non si concretizzerà prima di settembre quando, tra parentesi, ci saranno le elezioni in Germania e si scioglierà, con ogni probabilità, il governo di coalizione tra socialdemocratici e cristianosociali che ha partorito l’accordo con la cordata russo-austro-canadese.



Gli altri concorrenti non sono fuori gioco, si è affrettato a dire il ministro dell’economia Karl Theodor zu Guttemberg, riaprendo, di fatto, una partita che aveva già del surreale prima di questi ultimi sviluppi: a trattare la vendita non era il proprietario (Gm) ma lo Stato dove erano localizzati gli insediamenti produttivi, i sindacati hanno appoggiato un concorrente, il produttore di auto russo Gaz, che in patria ha licenziato in un colpo solo quasi 7mila dipendenti, e il presidente americano Barack Obama ha dato l’imprimatur a un accordo con un’azienda, sempre la Gaz, il cui proprietario, il miliardario Oleg Deripaska, è «persona non gradita negli Stati Uniti». Un colpo di scena degno di una soap opera che persino a Torino fanno fatica a capire, tanto da replicare con un laconico no comment e rammentando di essere concentrati sull’integrazione con Chrysler.



Dall’altra parte e nelle stesse ore, oltreoceano il presidente di Gm Brasil Jaimed Ardila ha dichiarato che la procedura fallimentare messa in atto dalla casa madre americana non coinvolgerà la sua divisione. «Faremo parte della nuova Gm che nascerà al termine del chapter 11» ha detto «e il governo americano che sarà il maggiore azionista di General Motors e lo sarà anche di Gm Sudamerica. Lo scorso anno abbiamo chiuso il miglior bilancio in 80 anni di storia e siamo il terzo mercato del mondo per Gm. Nei primi cinque mesi di quest’anno abbiamo venduto oltre 1,1 milioni di veicoli e abbiamo confermato gli investimenti di 1,5 miliardi di dollari già previsti entro il 2012».

Insomma la strada per Fiat per arrivare a Gm Sudamerica è tutta in salita. Le attività rendono, il mercato cresce, non ci sono forti legami tecnologici con Opel. Perché mai General Motors dovrebbe privarsi della sua divisione sudamericana? O meglio potrebbe farlo solo di fronte a un’interessante offerta economica che Fiat, con ogni probabilità, non è in grado di fare.

Nel frattempo tornano in ballo i vecchi amori e c’è chi scommette su un accordo forte con Bmw o Psa, che detiene i marchi Peugeot e Citroen. Certo i colloqui con la casa automobilistica tedesca e quella francese vanno avanti da molto tempo, forse troppo per pensare che vadano velocemente in porto. In ogni caso, è difficile che si tratti di una vera e propria integrazione come quella che si concretizzerà con Chrysler o come sarebbe stato, e forse potrebbe ancora essere, con Opel. Ci sarebbero dei problemi di controllo e probabili difficoltà nel far coesistere culture industriali così diverse.