L’azione anticrisi del governo è nella giusta direzione, ma insufficiente. L’economia italiana deve compensare la caduta delle esportazioni dovuta alla caduta della domanda globale e l’unico modo per riuscirci è quello di aumentare la crescita del mercato interno.

Il metodo migliore è quello della stimolazione fiscale, cioè tagliare le tasse sia nelle busta paga dei lavoratori sia alle imprese per dare impulso a consumi e investimenti. In combinazione con programmi di nuove infrastrutture che mettano in moto il volano del mercato delle costruzioni, tipicamente sistemico. Se a questo si aggiunge una politica monetaria a basso costo del denaro (in atto) e un sistema sano del credito (in guarigione) la crescita arriva. Il governo adotta questa giusta teoria anticrisi, ma con numeri irrisori e qualche svarione da correggere.



La detassazione degli utili d’impresa reinvestiti è una misura selettiva e contingente che serve ad aumentare gli investimenti senza ricorrere a un taglio generalizzato delle tasse. Non è granché, perché nelle crisi l’utile è poco, ma vista la priorità di contenere il debito tenendo alto il gettito è accettabile. Tuttavia è troppo restrittiva. La detassazione scatta solo per comprare macchinari. Il governo prevede di generare almeno 20 miliardi di affari in tal modo. Poco e incerto. Dovrebbe metterci dentro capannoni, servizi di ricerca, auto, camion, spese di investimento per l’internazionalizzazione, ecc., per produrre un qualche effetto.



Inoltre gli va ricordato che lo stimolo fiscale serve oggi e non domani per uscire dal picco di recessione. Domani servirà ben altro, per inciso. Restando sullo spirito dell’oggi, desta perplessità l’impegno del governo ad accelerare i pagamenti che la Pubblica Amministrazione deve alle imprese. Sono decine di miliardi, in ritardo di mesi se non di anni. Una direttiva europea dice che lo Stato o Ente locale deve pagare entro un mese. I soldi a bilancio per tali spese sono già stati messi in posta. Quindi dovrebbe pagare punto e basta. Invece dice che pagherà. Questa vicenda è un mistero.



E c’è qualcosa di losco. Le imprese scontano in banca e/o presso società di “factoring” le fatture fatte allo Stato per ottenere liquidità. Il pagamento finale è certo, le banche non rischiano niente. Ma le imprese devono pagare in questa operazione un tot consistente a detrazione del dovuto. Il ritardo dello Stato, in violazione della legge, ingrassa banche e affini e toglie in forma di tassa nascosta denaro alle imprese proprio nel momento in cui ne hanno più bisogno. Qualcuno deve indagare.

Ma almeno sull’emergenza disoccupazione il governo ha fatto qualcosa di incisivo? Prevede incentivi alle imprese affinché non licenzino – e va bene vista l’emergenza licenziamenti ora nascosta dalla cassa integrazione, ma a termine – ma le quantità non appaiono sufficienti. Qui c’è anche un problema di teoria. L’impresa assume o tiene gli occupati se ha lavoro. Quindi sarebbe molto più efficace detassare di più e in modo generale le imprese che non licenziano piuttosto che cercare minimi incentivi selettivi. Tuttavia la misura governativa sarà meglio valutabile quando saranno disponibili i dettagli.

Sorprendente, invece, che non vi sia alcun cenno sulla detassazione delle buste paga dei lavoratori. Chi, allora, dovrebbe tirare la domanda interna? I progetti infrastrutturali, invece, comincino ad essere sbloccati e ciò farà bene alla crescita. In conclusione l’azione anticrisi appare solo in timido avvio, migliorabile anche considerando l’assoluta priorità di contenimento del debito pubblico. Sui giornali bisogna premere per azioni più incisive.

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