Alla fine dello scorso anno il rapporto annuale di Caritas aveva “sparato” una bomba informativa: 15 milioni di persone sarebbero a rischio di povertà in Italia. Un dato incredibile, che l’esperienza quotidiana smentisce. Ma allora, di quali cifre dobbiamo parlare? Quanti sono i poveri veri, quelli che non arrivano neppure alla metà del mese, che non hanno soldi per vivere decorosamente?



A questa domanda inizia a rispondere l’Osservatorio Regionale sull’Esclusione Sociale in Lombardia (ORES), che ieri ha presentato a Milano il suo primo Rapporto annuale (“L’esclusione sociale in Lombardia. Rapporto 2008, ed. Guerini Associati). Un’analisi che per la rilevanza del contesto (la Lombardia è pur sempre la locomotiva d’Italia e la più esposta ai venti della crisi internazionale) e per la metodologia utilizzata si presenta come una significativa innovazione nel panorama italiano. Provando ad andare molto al di là delle fonti ufficiali.



L’elemento più caratterizzante sta nell’utilizzo dei dati di fonte terzo settore per cogliere le dimensioni della povertà lombarda. Si tratta di un lavoro di rete svolto attraverso un’alleanza ed una condivisione di informazioni fra il mondo del non profit, le istituzioni e la comunità scientifica. Il termine “sussidiarietà” trova quindi applicazione effettiva anche nell’ambito della ricerca.

Grazie a questa metodologia innovativa, unica nel panorama italiano, ORES ha potuto “contare” i poveri effettivi: 315.000 nel 2007, 340.000 alla fine del 2008. Una povertà che cresce, dunque, ma da cui si può anche uscire, se è vero (come riporta il Rapporto) che circa 16.000 persone sono uscite dalla condizione di bisogno, proprio grazie al sostegno congiunto delle istituzioni e del nonprofit.



Fra gli assistiti significativa è la presenza di stranieri (2 su 3) e delle donne (anche in questo caso pari a circa il 60% del totale). È evidente come la condizione di precarietà giuridica e conseguentemente lavorativa di una quota consistente di stranieri presenti nel territorio lombardo esponga queste persone a un più elevato rischio di povertà. Il marcato legame presente tra status giuridico e povertà ne è una conferma: nel passaggio dalla irregolarità al conseguimento della cittadinanza la povertà si dimezza. Come dire che una società inclusiva è per definizione capace di far uscire le persone dalla condizione di bisogno. 

Tra le cause del bisogno, come era lecito attendersi al primo posto troviamo la scarsità di reddito e la perdita o mancanza di lavoro, ma non meno importanti risultano i motivi di salute e le rotture familiari (separazioni o divorzi). Nell’ultimo anno sono soprattutto le donne sole con figli minori a crescere maggiormente, insieme ai nuovi disoccupati. Insomma quello che più influisce sono in genere gli eventi imprevisti, come nel caso della separazione dei coniugi, che alterano l’equilibrio familiare.

I dati di cui abbiamo parlato sino ad ora riguardano le situazioni di disagio dichiarato, ma quanto si parla di un concetto così delicato come quello della povertà e più in generale dell’esclusione sociale è noto come si aggiungano le persone e le famiglie che, nonostante la condizione di difficoltà, non chiedono aiuto. È la famosa “fascia di rischio” su cui nascono le cifre-monstre di cui si è detto in apertura.

Da anni siamo infatti soliti ragionare in termini di povertà relativa, utilizzando le fonti ufficiali ISTAT. Come segnalato dal “Libro Bianco sul futuro del modello sociale”, questa definizione serve però a cogliere al massimo un elemento di disuguaglianza, ma certamente non a definire con precisione i confini della povertà effettiva. Proprio per questo è stato proprio l’ISTAT, un paio di mesi fa, a riproporre una metodologia di calcolo della povertà assoluta, che tenesse conto solo dei bisogni primari e dei differenziali di costo della vita. Nel complesso – fra chi chiede e riceve assistenza e chi invece non lo fa – stiamo allora parlando per la Lombardia di 125.000 famiglie (pari al 3,2% della popolazione) che ogni mese sostengono una spesa per consumi inferiore al livello minimo accettabile stimato in base ai bisogni tipici di ogni età ed ai prezzi accessibili. La Lombardia risulta al quarto posto fra le regioni italiane a minore incidenza (la media italiana è del 4,2%), dopo Veneto, Toscana e Marche. Un dato importante, se si considera la presenza di una grande metropoli come Milano, dove si concentrano i due terzi dei poveri di tutta la regione.

L’utilizzo di questa nuova metodologia, applicata per la prima volta su scala regionale da ORES, permette di capire meglio la realtà, ridimensionando di molto una retorica dell’impoverimento che dilaga sui mass media, contribuendo a generare un clima di sfiducia.