Il prossimo vertice del G8, sia nella formula originaria sia nella modalità “allargata”, sicuramente più aderente alla realtà, pare a una svolta radicale su parecchi fronti delle relazioni internazionali, e su uno vorrei porre l’accento: le politiche di sviluppo nei Paesi Poveri. Dopo tanti piani, tanti stanziamenti economici, tante teorie, ci pare che quella del G8 2009 sia l’occasione per proporre un nuovo paradigma: la persona al centro delle politiche di sviluppo.
Ma andiamo con ordine. Molto in questi ultimi 50 anni è stato fatto. Moltissimo resta da fare, a partire dall’adempimento degli impegni assunti in termini di stanziamenti di risorse da parte dei Paesi ricchi. Molto è stato fatto anche in termini di sistemi di controllo, di procedure, di sistemi di trasparente rendicontazione. Ora è il tempo di parlare dei risultati delle azioni concrete, per intendere il miglior metodo di lavoro. L’enorme macchina degli aiuti serve allo scopo per cui è nata, cioè rendere più umana la vita?
Su questo punto, trovo utile ricordare un episodio della vita di Churchill, che, il 31 marzo 1949, al termine di un viaggio trionfale negli Stati Uniti d’America, salutato come colui che aveva salvato l’Europa dalla barbarie nazista, fu ricevuto al MIT di Boston. Il Decano delle Scienze Umaniste, nella sua prolusione, esaltò la capacità raggiunta dalle Scienze umaniste di un dominio completo delle attività umane, ma anche del pensiero e del sentimento, e parlava della prossima prospettiva che il mondo potesse essere come una grande fabbrica perfetta. Allora Churchill scattò in piedi e disse: «Spero per allora di essere già morto».
A fronte di molte delle decisioni che vengono assunte negli uffici delle agenzie di sviluppo viene da scattare in piedi come Churchill. Spesso prevalgono indici e modelli elaborati nella vana speranza di creare un uomo e una società perfetta. È nato una sorta di “scientismo umanitario”, una teoria sull’essere umano aderente a un modello e non alla realtà, che detta la linea di come crescere, quanto crescere, quanti devono nascere e quanti si devono lasciar morire.
Così accade che le agenzie e i loro think tank di riferimento si concentrino in ponderosi studi per definire il livello standard di povertà o denutrizione o educazione sotto il quale non finanziano interventi. Apparentemente si tratta di definire priorità, ma concretamente si tratta di una selezione.
Il fondo per le tre grandi malattie (malaria, tubercolosi, AIDS), sicuramente una delle grandi decisioni del G8, ha finora operato perseguendo uno schema e non seguendo la realtà. Le organizzazioni di base di ispirazione cristiana e religiosa in genere che, specialmente in Africa, garantiscono il 50% dei servizi socio sanitari alle persone fino ai più remoti villaggi, ricevono dal Fondo il 3,6% dei fondi a disposizione. Non può essere la Stato come lo abbiamo noi esportato l’unico interlocutore, specie nelle realtà dove le Istituzioni sono in corso di costruzione.
Nel lavoro operativo in oltre 35 anni, in tanti angoli sperduti del Pianeta, questa è l’esperienza di AVSI, Fondazione Italiana impegnata nella cooperazione internazionale, e delle tantissime opere legate all’esperienza cristiana: la realtà è fatta di persone che hanno in sé quella tensione verso il bello, il vero, il bene, il giusto che ci costituisce nel profondo del nostro essere.
L’aiuto allo sviluppo deve far leva su questa peculiarità dell’essere umano, così come da qui ha preso le mosse lo sviluppo della nostra civiltà europea. La tensione della persona al bene, dice Luigi Giussani, «è come la scintilla con cui si accende il motore. Tutte le mosse umane nascono da questo dinamismo costitutivo dell’uomo. E allora si mette a cercare il pane e l’acqua, si mette a cercare il lavoro, una poltrona più comoda e un alloggio più decente».
Non abbiamo ricette. Ma ora che le grandi ideologie del secolo scorso, l’economia pianificata e il liberismo sfrenato, hanno mostrato tutti i loro limiti, c’è uno spazio di dialogo. L’auspicio è che questo dialogo parta dall’esperienza reale e meno dagli studi e dai modelli, per raggiungere la persona concreta e non un modello teorico di persona.