L’economia della Germania, si sa, è un po’ il termometro con cui si misura lo stato di salute dell’Europa. Beh, nelle ultime 24 ore da Francoforte e Berlino sono arrivate notizie che non depongono affatto verso un check up favorevole per il vecchio continente. La Confindustria tedesca ha confermato che la metà dei suoi membri sta patendo una contrazione del credito e lo stesso ministro delle Finanze, Peter Steinbruck, ha dovuto finalmente ammettere che «dobbiamo prendere molto seriamente in considerazione il rischio di un credit crunch per la seconda metà di quest’anno».
Alleluja, alla fine l’ha capita anche lui. Ma non basta. A confermare la gravità della situazione sono giunte le richieste accessorie di Steinbruck: sospensione di Basilea 2 per permettere il salvataggio delle banche e soprattutto prestito diretto da parte dello Stato per far ripartire il credito. Suona, ad occhio e croce, come una chiamata d’emergenza.
Sempre dalla Germania, poi, sabato scorso la BaFin, l’ente regolatore di Borsa e mercati, ha reso noto che i bad debts in pancia alle banche tedesche «stanno per scoppiare come una granata» avendo toccato quota 816 miliardi di euro, 268 dei quali in conto solo a Hypo Real. Senza dimenticare che il deficit tedesco sta toccando il 6%, portando il debito su Pil all’86%: stiamo parlando della locomotiva d’Europa!
Gli esperti della Bce, d’altronde, hanno parlato chiaro: ci sono almeno altri 203 miliardi di euro di svalutazioni da fare entro l’anno nei bilanci delle banche Ue e questo nonostante proprio la Banca centrale europea abbia recentemente iniettato la cifra monstre di 442 miliardi di euro nel sistema per rilanciare il credito. Tutto inutile.
Ma dal resto dell’Unione non arrivano notizie migliori. Il ministro spagnolo delle Finanze, Luis Espadas, ha confermato con il massimo del candore che il rapporto debito pubblico/Pil della Spagna potrebbe tranquillamente raggiungere il 90%: nel 2007 era il 36%, tanto per capirci. Quello italiano è previsto al 116% nel 2010, quello greco al 109%, quello belga al 101% e quello francese all’86%: trovate forse spazio per dell’ottimismo? Se sì, calcolate che la contrazione dell’eurozona quest’anno – stando a dati del Fondo Monetario Internazionale – toccherà il 4,8% contro il 2,6% degli Stati Uniti.
Ma qual è stato l’errore di fondo che vedrà l’Europa pagare il prezzo più alto di tutti alla crisi? Certamente la scelta della Bce di non seguire l’esempio di Giappone, Gran Bretagna, Canada e Stati Uniti nella politica di quantitative easing ha portato a una netta contrazione del credito privato in questi ultimi mesi e peserà ancora di più nei prossimi.
Ma che cos’è il quantitative easing? Si tratta del processo di “creare moneta” da parte delle banche centrali al fine di acquistare, per esempio, titoli di stato in mano ai privati. Si tratta di una strategia che viene messa in campo quando i tassi d’interesse sono vicini allo zero e l’istituto centrale ha pochi margini di manovra sul costo del denaro: attraverso il quantitative easing viene allargata la massa monetaria presente in un sistema. Peccato che la massa monetaria M3 nell’eurozona sia crollata a febbraio al 5,9% (salvo poi risalire e frenare ancora nei mesi successivi), un segnale che ricorda pericolosamente quello risuonato negli States prima del crollo di Lehman Brothers: alla Bce, però, nessuno pare preoccuparsene.
La seconda settimana di settembre cambieranno idea, ignorare l’M3 è scelta che si fa a proprio rischio e pericolo: non è certo l’Hindemburg Omen, ma difficilmente si sbaglia a segnalare i marosi a dispetto dell’indice Vix, quello che determina la volatilità dei mercati, ancora basso rispetto ai livelli massimi della crisi nonostante i tracolli post-green shots delle scorse settimana (si chiama euforia suicida o speculazione, non ha fondamentali a cui fare riferimento). Forse, più che tenere un nuovo referendum sul Trattato di Lisbona, l’Irlanda dovrebbe tenerne uno sulla capacità della Bce di intervenire a tutela della propria economia: la massa monetaria M3 irlandese è crollata alla velocità del 30% annuo lo scorso mese, praticamente una condanna a morte per un’economia iper-indebitata come quella di Dublino.
Se a questo unite il combinato congiunto della bomba ad orologeria rappresentata dal tasso di disoccupazione Ue che nella sola Spagna potrebbe sfondare quota 20% con la crescita esponenziale, entro il 2040, del numero di pensionati su lavoratori attivi, allora avete perfettamente chiaro cosa aspetta nel recente futuro l’Europa. Certo, a dire che le cose vanno male si ha un buon 50% di possibilità di azzeccarci, però bisogna anche avere le cifre per corroborare questa negatività, altrimenti si gioca solo a dadi. Come vedete, le ho messe in fila una dopo l’altra queste cifre. Lascio i dadi ad altri.