Tra poco le grandi fabbriche della Fiat, da Mirafiori a Melfi, chiuderanno per le ferie estive. Ma non sarà un’estate tranquilla per i dipendenti del gruppo, anzi sarà forse una delle più tese, delle più dense di incognite sul futuro. La crisi economica e finanziaria che imperversa da oltre un anno, come si sa ha colpito con particolare durezza il settore dell’auto che ha subìto cali di vendite, con punte negative del 50%, mai conosciuti nel dopoguerra, nemmeno nella crisi petrolifera del 1973.



La Fiat, ovviamente, non è passata indenne attraverso questa burrasca, anche se è riuscita a far meglio di molti concorrenti. Gli ultimi dati di mercato confermano che la sua quota in Europa è lievemente salita, portandosi all’8,6%. Quindi la casa del Lingotto è riuscita a recuperare qualche frazione in un mercato che, complessivamente, ha conosciuto segni di ripresa dopo tanti mesi di stenti. Ma questo non basta a garantire una ripresa autunnale tranquilla.



La Fiat ha dato prova di saper reagire alla crisi soprattutto perché ha dimostrato di aver una strategia. Coraggiosa, al limite della temerarietà, ma una strategia concreta, fattiva, che guarda con assoluto realismo e futuro e individua una strada per affrontarlo. L’amministratore delegato, Sergio Marchionne, ha detto che la sola possibilità di salvezza sta nelle dimensioni: una casa automobilistica, per sopravvivere, non può produrre meno di 6 milioni di pezzi all’anno. La Fiat, fino a pochi mesi fa, raggiungeva solo i 2 milioni.

Quindi Marchionne ha buttato il cuore oltre l’ostacolo lanciandosi in una campagna di acquisizioni che ha lasciato senza fiato tanti analisti del settore in quanto il Lingotto è in condizioni finanziarie per nulla floride. Incurante di queste osservazioni, il manager italo-svizzero-canadese ha portato a casa prima la Chrysler poi si è messo in lizza per acquisire il controllo anche della Opel, la filiale europea della General Motors. Questa seconda manovra, come si sa, non è riuscita: la Opel è andata alla russa Magna, anche se adesso pare che ci siano delle difficoltà, dei ripensamenti e qualcuno sostiene che la partita potrebbe riaprirsi.



Si vedrà. La Fiat con la Chrysler è a quota 4 milioni di pezzi annui; ma già ha fatto delle avances per assicurarsi della filiali sudamericane della General Motors (anche quelle in vendita) e così aumentare ancora la sua forza d’urto, avvicinandosi al traguardo dimensionale indicato da Marchionne. Lui intanto, con il suo immancabile maglione, si divide fra Torino e Detroit per accelerare al massimo l’integrazione fra i due gruppi.

La fusione, che ha ricevuto anche la benedizione del presidente Barack Obama (oltre che gli indispensabili aiuti pubblici), si basa su una ricetta teoricamente semplice: la Fiat deve trasferire in Usa il suo know how di costruttore di modelli piccoli-medi a basso consumo di carburante. Enunciare il principio è facilissimo, trasformarlo in realtà è estremamente complesso. Ci sono ostacoli produttivi, finanziari, organizzativi, di mercato e di cultura.

Gli americani, inutile nasconderselo, non sono abituati a viaggiare su una 500: la trovano carina, divertente, con un design accattivante. Ma da qui a comprarla per guidarla sulle loro autostrade che attraversano un continente il passo è lungo. E Marchionne sa perfettamente di avere di fronte a sé una sfida da far tremare le gambe. Ma è una sfida che deve vincere a tutti costi altrimenti l’impalcatura della sua exit strategy dalla crisi rischia di scricchiolare.

Ma non sarà difficile solo su questo fronte l’autunno di Marchionne. Il versante sindacale sarà caldissimo, come si è visto in questo avvio d’estate. La vicenda dell’impianto di Termine Imerese destinato a non produrre più auto in un futuro molto prossimo non è che un anticipo di quello che, anche se non ufficialmente, è in agenda. L’industria dell’auto è afflitta da una sovracapacità produttiva: un terzo degli impianti esistenti in Europa è di troppo. Tutti i costruttori devono affrontare il capitolo dei tagli. Capitolo dolorosissimo dal punto di vista sociale e delicatissimo sotto il profilo politico: i governi, che hanno concesso aiuti sotto varia forma all’industria dell’auto, non accetteranno passivamente la creazione di migliaia di disoccupati.

A complicare ancora la già difficile situazione di Marchionne, c’è anche un altro elemento: la Fiat non è solo automobili, ma anche veicoli industriali, trattori, macchine movimento terra. Questi settori ancora nel 2008, anno già difficile, hanno prodotto utili compensando così le difficoltà dell’auto. Ma la crisi è arrivata anche lì e il 2009 chiuderà in maniera meno brillante, anche se non si parla di rosso.

Quindi verrà meno una fonte di liquidità. E in prospettiva il Lingotto dovrà affrontare dei problemi finanziari che non sono ancora stati risolti. E forse riprenderanno consistenza quelle voci di grandi alleanze che la vicenda Chrysler aveva fatto passare in secondo piano.