La spesa per la protezione sociale italiana è notoriamente la più squilibrata d’Europa. Il sistema pensionistico pesa per oltre il 60% del totale degli interventi di politica sociale (rispetto ad una media UE di circa il 46%), e se a ciò si aggiunge la spesa sanitaria (26,7%, leggermente più bassa rispetto agli altri Paesi del continente) si capisce il motivo per cui per tutto il resto non rimangano che le briciole.



Le politiche per la casa e il contrasto alla povertà, per fare l’esempio più drammatico, sono solo lo 0,3% della spesa sociale complessiva e pesano per lo 0,1% del Pil, mentre le medie europee sono rispettivamente al 3,5% e all’1%. Non vanno meglio le cose per gli interventi sul capitolo disoccupazione (quelli italiani sono un terzo di quelli europei), per quelli relativi alle politiche famigliari e per i disabili.



Da molti anni, a motivo di questa evidentissima distorsione nell’allocazione delle risorse, si chiede a gran voce un intervento di riequilibrio, capace di distribuire in modo più intelligente la spesa sociale. Il decreto anti-crisi del governo Berlusconi, pronto per l’approvazione parlamentare, apre finalmente la porta a questa ricalibratura della spesa: l’aumento dell’età pensionabile per le donne impiegate nel pubblico impiego, nonché l’introduzione di un meccanismo automatico di adeguamento generalizzato dell’età pensionabile collegato alla speranza di vita, libereranno infatti risorse che, secondo le intenzioni del Governo, dovranno essere impiegate negli altri settori di politica sociale. In primis, secondo le intenzioni dichiarate, politiche famigliari e sostegno alla non autosufficienza.



Si tratta indubbiamente di un intervento di notevole importanza e grande impatto simbolico, che segnala l’avvento di una cultura autenticamente riformista all’interno dell’attuale maggioranza di governo. Dopo la non straordinaria esperienza della “social card”, si è effettivamente verificato un deciso cambio di passo, segnalato concettualmente anche dallo spostamento di registro intervenuto tra la presentazione del Libro Verde sul welfare (presentato esattamente un anno fa) e la pubblicazione dell’assai più convincente Libro Bianco, orientato esplicitamente al principio di sussidiarietà.

Questa modificazione profonda nelle linee di politica sociale sembra fatta apposta per incassare un consenso ben più ampio di quello della compagine di governo e alle forze sociali e culturali che lo sostengono. Un segnale molto chiaro in questo senso è arrivato proprio ieri. Il Corriere della Sera, notoriamente poco avvezzo a simpatie berlusconiane, ha deciso di dedicare al tema l’editoriale di prima pagina, affidandolo a Maurizio Ferrera, firma di punta del quotidiano di via Solferino ed esponente del campo riformista di area Pd.

L’autorevole politologo, pur avanzando qualche perplessità sulla effettiva realizzazione delle dichiarazioni di intenti presenti nel decreto, sottolinea con vigore il carattere fortemente innovativo della proposta e ne sposa convintamente la ratio, confidando sulla possibilità che a partire da questa ipotesi di ricalibratura della spesa sociale possa nascere un dialogo ragionevole e costruttivo. Musica per le orecchie del ministro Sacconi, che se riuscirà a vincere le resistenze corporative e conservatrici presenti in Parlamento e nel Paese potrà mettere agli atti una piccola, grande rivoluzione.