Diceva Montesquieu che i viaggi a scopo di diletto sono una gran cosa: perché ci si libera del cerchio dei pregiudizi senza esser disposti a farsi carico dei nuovi in cui ci s’imbatte. Sarà anche per questo, che agli italiani in media vacanze e turismo piacciono più che a tutti gli altri popoli dell’area Ocse. Di pregiudizi, in effetti, non ne abbiamo certo meno degli altri popoli. E quanto a criticare quelli altrui, in pochi ci battono. Ma, purtroppo, le vacanze più lunghe dal punto di vista dell’economista – il mio – sono sempre stati un segno negativo del gap di produttività del nostro Paese, visto che ovviamente chi ha diritto a più giorni di assenza pagata finisce per produrre inevitabilmente di meno. La predizione di Keynes, che scrivendo per i suoi nipoti profetava che ai loro tempi sicuramente il tempo dedicato alla vile attività di produzione di beni e servizi destinati allo scambio monetario si sarebbe autoristretto a poche ore al giorno per pochissimi giorni al mese, si sono rivelate drammaticamente fallaci: quanto la caduta inevitabile del saggio di profitto nel sistema capitalistico profetata da Marx, tanto per accostare i due vati che tornano oggi sulla bocca di molti osservatori, di fronte ai morsi della crisi economica.



Sarà anche per questo che, allo stato attuale, ancora non si capisce per davvero bene che cosa avviene alle vacanze degli italiani in questa estate 2009. Gli indicatori di mercato specializzati, in proposito, danno risultanze assolutamente non convergenti. I due sondaggi che ogni anno a metà giugno sono il punto di riferimento per gli operatori turistici, curati uno da Swg per Confesercenti e l’altro da Ipsos per Europ Assistance, hanno dato un quadro non del tutto negativo. Per Swg, dichiaravano di andare in vacanza quest’estate la bellezza del 76% degli italiani, quasi il 10% in più rispetto al 2008, 37 milioni e mezzo contro i 33,7 del 2008. E dei 24 su 100 che dichiaravano “niente ferie”, quasi la metà, il 10% del campione complessivo, dichiara di non partire ma solo perché odia le ferie estive e preferisce farle d’inverno. In altre parole, solo il 10% degli italiani resterebbe escluso dal fenomeno-vacanza in quest’anno di contrazione record del Pil del 5%. È ovvio che un minimo di prudenza sulla spesa comunque si manifestava: un giorno in media di vacanze in meno nelle località turistiche a testa, meno mare per i prezzi non più sostenibili, molto più turismo culturale e agriturismo.



Il Barometro Turismo Ipsos 2009 concordava sul 76% di italiani che dichiaravano di aver programmato vacanze estive, ma già diceva che erano il 12% più del 2008. Quanto alla media delle vacanza programmate, per Ipsos addirittura il 41% degli italiani avrebbe fatto una sola settimana invece dei 13 giorni medi rilevati da Swg, e con un dato assolutamente penalizzante rispetto al 41% del campione europeo che dichiara di fare almeno due settimane di ferie in questa estate, e i francesi al picco del sollazzo col 45% che dichiarava di prepararsi ad almeno tre settimane di vacanze estive. Diversa anche l’entità dei tagli di spesa rilevata dai due istituti: per Swg sarebbe stata di quasi il 10% sul 2008, per Ipsos solo del 4%, come divergenti era il dato sulle mete marine, con un calo del solo 4% per Ipsos, e più che doppio invece per Swg.



Se dai sondaggi passiamo invece alle rilevazioni degli operatori, ecco che il cielo si fa ben più cupo. Per Confturismo-Federalberghi, le cui stime sono state rilasciate alla fine della settimana scorsa, tra giugno e settembre partiranno per le vacanze solo 24 milioni di italiani e non 37, in pratica uno su due, con un -18% di spesa media pro capite, e un -16,5% di durata media. Il calo del giro d’affari sarebbe di almeno il 15% con un fatturato tra giugno e settembre pari a 17,2 miliardi di euro contro i 20,2 del 2008. Dati ancora più terribili di quelli realmente già registrati nei primi sei mesi del 2009, che hanno visto un calo del 6,7% dei pernottamenti complessivi negli alberghi italiani per somma di un -2,5% di italiani e un -11,5% di stranieri.

Da osservatore abbastanza attento degli andamenti economici, a questo punto ho tre avvisi da dare. Il primo è che in generale purtroppo gli italiani, nella media dei sondaggi sui propri comportamenti economici, risultano in prospettiva comparata europea tra i meno sinceri: tendono sempre a dichiararsi più stringicinghia di quanto poi risultino fare per davvero. Le ragioni sono di ordine culturale e hanno a che vedere con la nostra più elevata attitudine allo sdoppiamento pubblico-privato: non perché i protestanti dicano di più la verità rispetto ai cattolici, come voleva la sciocca vulgata pseudo-weberiana, bensì perché abbiamo una storia di Stato unitario assai più recente e assai più rapinoso verso i ceti bassi e medi.

Il secondo è che i cali di fatturato delle imprese dei settore è invece un dato veritiero, ma non è generalizzato per media uniforme, bensì va scomposto e interpretato per classi di appartenenza. L’offerta turistica, alberghiera e di ristorazione cede nel segmento intermedio e medio-basso: perché di fronte alla necessità di risparmio pur senza rinunciare alla vacanza, il consumatore diventa più attento al rapporto tra costo e qualità. Per questo il 2009 sarà un anno terribile per migliaia di ristoratori a basso rapporto qualità-prezzo, e per le troppe migliaia di piccoli alberghi familiari gestiti da decenni con logiche di rendita consolidata, senza investimenti che li rendano all’altezza del prezzo-qualità offerto in paesi come Spagna e Francia, dove l’offerta turistica ha conosciuto consolidamenti notevoli e dunque innalzamenti della capacità d’investimento per economie di scala.

Ed è per questo – terza considerazione – che noi perdiamo soprattutto turisti stranieri, a danno dei Paesi mediterranei a noi vicini: li perdiamo sia nelle città d’arte, i cui musei perdono visitatori in media a partire dal 2006, sia nelle località marine tradizionali. Perché gli europei quest’anno si faranno i conti ancora più pesantemente di noi, non potendo contare su stock patrimoniali familiari tanto elevati come quelli italiani. 

Conclusione: è probabile che gli italiani anche quest’anno continueranno a spendere per le vacanze più di quel che dicono, e che lo facciano come “auto medicamento” a una crisi che del resto non colpisce affatto tutti in maniera eguale; ma la cosa sicura è che o l’industria turistica italiana si dà complessivamente una mossa – a cominciare da tagli all’IVA da parte del governo, visto che su ristorazione e alberghi gravano oramai 10-15 punti di aliquota in più rispetto alla Spagna e alla Francia dove sono stati abbassati dal primo di luglio – oppure continuerà piano piano a scendere nella fossa.