La cosiddetta manovra d’estate del Governo, che ha preso corpo con il decreto (Dl 78/09) approvato dal Consiglio dei Ministri la settimana scorsa, sembra andare nella giusta direzione per attenuare gli effetti più gravi della crisi sul nostro Paese.
Nell’attesa dell’imminente G8 dell’Aquila, che si spera conduca ad un più efficace coordinamento delle diverse politiche nazionali su economia e finanza, sembra opportuno cercare di ragionare serenamente sulla situazione del nostro sistema produttivo, cercando anche di dare uno sguardo realistico al futuro, ovvero a quello che ci aspetta nel breve e nel medio-lungo periodo.
Partendo proprio dal breve periodo è bene sgombrare il campo da pericolose illusioni: la crisi sarà ancora lunga e ci sarà ancora da soffrire, anche perché le resistenze delle nostre piccole e medie imprese sono ridotte al lumicino e l’intervento pubblico sarà necessariamente limitato stanti le condizioni, a dir poco precarie, del nostro debito.
Ci sono, è vero, timidi segnali di rallentamento della fase più acuta della recessione (come la ripresa delmercato dell’auto a giugno con le vendite tornate a salire, grazie agli incentivi, del 12,38%),ma questo non deve spingere a prefigurare una rapida fine della guerra di trincea che il nostro sistema imprenditoriale sta orgogliosamente combattendo da ormai quasi un anno. Anche il recente rapporto trimestrale della Commissione UE sui 16 paesi di Eurolandia, che pure ha confermato una sia pur lenta stabilizzazione dei mercati finanziari e un miglioramento complessivo delle attese sulla prossima fine della crisi, ricorda tuttavia che la situazione resta ancora fragile.
Anche nell’ottica di realismo sopra ricordata non deve però venir meno la fiducia di fondo nel nostro sistema imprenditoriale che alla fine, ne siamo certi, saprà traghettare l’Italia fuori da questa situazione. Vediamo allora quali sono gli elementi che ci portano ad essere fiduciosi nel medio-lungo periodo.
Innanzitutto è bene subito segnalare che, a nostro avviso, il Governo sta complessivamente ben gestendo la crisi, operando essenzialmente lungo tre grandi direttrici: 1) garantire i conti pubblici; 2) garantire liquidità al sistema delle imprese; 3) garantire la coesione sociale sostenendo l’occupazione. In questo senso, la salvaguardia dei conti se da un lato è una garanzia per il futuro, quando la crisi finirà, dall’altro è però un forte vincolo a quanto si può concretamente fare oggi. A quanti sostengono che l’azione del Governo è troppo debole, ovvero giusta in linea di principio ma con misure troppo ridotte quanto ad entità, si può rispondere che il punto sta nella valutazione di quale sia il livello di rischio che siamo disposti ad accettare sul nostro debito.
È di ieri la notizia certificata dall’Istat che nel primo trimestre dell’anno l’indebitamento netto delle Amministrazioni Pubbliche in rapporto al Pil è stato del 9,3%, mentre il Centro Studi di Confindustria prevede per il 2009 un deficit, sempre in rapporto al Pil, al 4,9% e un debito al 114,7%, mentre per il 2010 il deficit dovrebbe scendere a 4,7% con il debito che dovrebbe salire a 117,5%. Cifre che fanno paura, anche perché il nostro debito pubblico si confronta oggi su mercati sempre più concorrenziali e non a caso lo spread tra i rendimenti dei titoli di Stato italiani (BTp) e tedeschi (Bund) si era nello scorso gennaio pericolosamente allargato portandosi a ridossodel massimo storico dall’introduzione dell’euro (per poi fortunatamente ridursi nei mesi seguenti). Il che sta ad indicare che i mercati seguono l’evoluzione del nostro debito con molta attenzione, ragion per cui la prudenza del Ministro Tremonti pare a noi quanto mai saggia e opportuna.
Tra le numerose misure presenti nel decreto della scorsa settimana va subito segnalata, per la sua rilevanza per le nostre piccole imprese del settore manifatturiero, la cosiddetta Tremonti-Ter, che prevede la de-tassazione degli utili utilizzati per gli investimenti tipici delle piccole industrie, essenzialmente macchinari e apparecchiature (ma solo alcuni, non la generalità).
Rispetto alle due precedenti versioni del 1994 e del 2001, in questo provvedimento si tiene conto della riduzione complessiva degli investimenti dovuta alla crisi e perciò non si agevolano, come in passato, solo gli investimenti incrementali rispetto a un periodo precedente di più anni. D’altro canto alcune voci importanti di investimento come i computer sono escluse dalla de-tassazione.
La misura è in linea di principio assai condivisibile perché intende sostenere le imprese che hanno deciso di puntare sullo sviluppo, ma si tratta di un provvedimento che non avrà lo stesso effetto su tutti i settori industriali e i suoi effetti complessivi dovranno essere ulteriormente approfonditi.
Accolta con soddisfazione la prevista accelerazione dei pagamenti alle imprese da parte della PA (ma restano ancora fuori dal provvedimento i crediti relativi al sistema sanitario, che rappresentano circa il 90% del totale), per quanto attiene alle misure più specificatamente indirizzate al sostegno dell’occupazione, tre sembrano i provvedimenti particolarmente importanti.
Il primo è quello che favorisce il re-impiego dei lavoratori in cassa integrazione attraverso il rientro anticipato per progetti di qualificazione e formazione che «possono includere attività produttiva connessa all’apprendimento», con l’assegno della cassa che andrà a coprire l’80% dello stipendio e l’impresa che verserà il rimanente 20%. Vi è poi la misura volta a garantire una più ampia copertura ai dipendenti inseriti in alcune tipologie di contratti di solidarietà e, infine, il provvedimento che prevede la possibilità, per i destinatari di sostegno al reddito (cassa integrazione, indennità di mobilità) che optano per un’attività autonoma di usufruire dell’anticipazione in un’unica trance dell’ammontare di sussidio non ancora goduto.
Senza entrare nei dettagli delle molte altre misure contenute nel decreto, ci sembra di poter dire in via di sintesi che si sta facendo quanto si deve e che la prudenza con cui si calibrano gli interventi appare pienamente giustificata dall’entità del nostro debito. Quanto ai motivi che ci inducono a essere relativamente fiduciosi nel medio-lungo periodo, due dati ci sembrano particolarmente indicativi. Il primo è che nel 2008 l’industria italiana, nonostante la crisi degli ultimi mesi dell’anno, è stata capace di realizzare il più alto surplus con l’estero per i prodotti manufatti non alimentari (64 miliardi).
Il secondo dato che ci induce oggi alla fiducia lo prendiamo dal recente Rapporto “Italia delle Imprese”, realizzato dalla Fondazione Nord-Est e promosso da Unicredit per il Sole 24 Ore, dal quale risulta che ben il 41,9% delle nostre imprese afferma di intrattenere rapporti con l’estero. Il combinato di questi dati mostra che abbiamo un sistema produttivo vitale e resistente, pronto a riprendere la marcia non appena riparta la domanda nei Paesi di sbocco delle nostre merci.
E allora la fiducia sul domani (e sul dopo domani) poggia su questa nostra imprenditorialità responsabile e operosa, che oggi riesce sostanzialmente a non licenziare e a preservare la capacità produttiva, e che domani saprà certamente dare quel contributo di innovazione e qualità necessario per rimettere in moto il Paese.