Oggi il Cdm approverà il decreto correttivo contenente le modifiche al dl anticrisi in esame al Senato. È stato il presidente Napolitano a chiedere che i correttivi venissero approvati contestualmente al varo del “vecchio” decreto. Ilsussidiario.net ha chiesto a Marco Fortis, economista, una valutazione del provvedimento.
Fortis, la manovra varata dal Parlamento sarà efficace?
È una manovra di contenimento della crisi e non va dimenticato: si prefigge di contrastare una vera e propria calamità – perché di questo si tratta – e di attutirne l’impatto. Non le si può chiedere quindi di eliminare le cause di una catastrofe che il nostro paese non deve attribuire a se stesso, perché non vi ha avuto parte alcuna. Né può influire sulla durata della crisi.
Si è detto: incentiviamo di più i consumi per incrementare la produttività e uscire più in fretta dalla crisi. Lei che ne pensa?
È vero che l’Italia ha mostrato una dinamica dei consumi piatta negli ultimi anni. Occorre però anche chiedersi se non fosse questa la dinamica giusta in un paese che non cresce a debito. Meglio rinunciare ad una crescita dell’1% in più, magari conseguita al prezzo di far andare in debito famiglie e imprese, che trovarsi poi agonizzanti come Gran Bretagna o Spagna.
In altre parole, le scelte di politica economica contenute nella manovra sono state equilibrate…
Faccio fatica ad ipotizzare che i consumi delle famiglie possano crescere più dell’1% annuo. Se crescono di più, o è perché… abbiamo inventato l’automobile che va senza benzina, e allora tutti la vogliono e la comprano, oppure a parità di beni offerti non si capisce perché famiglie che stanno mediamente bene debbano consumare il 2-3% in più, come avviene nei paesi in via di sviluppo.
L’uso politico del debito pubblico rimane uno degli aspetti più controversi. Il Dpef prevede per quest’anno un Pil in calo del 5,2%, un deficit al 5,3% e un debito pubblico in crescita, previsto al 115-116%. Se il debito pubblico deve aumentare, tanto non vale usarlo per aiutare l’economia reale?
Questa critica secondo me non ha molto senso perché quello che sta generando un incremento del rapporto debito/Pil è semplicemente il calo del denominatore, e non tanto un aumento del numeratore. In ogni caso l’Italia, avendo un alto debito pubblico strutturale, non può permettersi il lusso di far aumentare ulteriormente il debito pubblico sul Pil; è vero che ritorna intorno al 115% in prospettiva biennale, ma perché il Pil perde il 5% per un anno. L’anno successivo dovrebbe tornare stazionario.
Non siamo più un paese a rischio?
No. La crisi, per molti paesi, ha cambiato tutto. Ci si è resi conto del fatto che, più del debito pubblico, è stato il debito privato a far saltare economie mondiali come quelle di Stati Uniti e Gran Bretagna. Il rapporto debito privato/Pil per l’Italia è ottimale e lo stesso Dpef fa vedere come il nostro debito aggregato sul Pil sia tra i più bassi dei paesi europei. Aggiungo che quando la Germania dirà quanto viene a costare il piano di salvataggio delle sue banche, che ancora non è stato contabilizzato sul suo rapporto deficit/Pil, potrebbero esserci delle sorprese. E potrebbe essere che la situazione italiana sia migliore di quella tedesca. Non parliamo poi della Gran Bretagna, dove la situazione è a dir poco allarmante.
Barack Obama ha detto agli americani: “siamo vicini alla fine della recessione”, per dichiarare poi che il quadro è ancora cupo. Dobbiamo o non dobbiamo essere ottimisti?
Obama ha cercato di riverniciare l’immagine dell’amministrazione, dopo le forti critiche degli ultimi giorni al piano della sanità. Ha difeso la sua politica dei salvataggi, inevitabili per mettere in sicurezza il sistema finanziario e quello dell’industria ed evitare conseguenze sociali disastrose. Ma che la crisi sia ancora una faccenda molto seria, è innegabile. Basti pensare che il supervisore del piano Tarp, Neil Barofski, ha dichiarato che l’esposizione complessiva del sistema Usa alla crisi è di 23.700 miliardi di dollari. L’America, in altre parole, ha una volta e mezzo il proprio Pil impegnato nel salvare i guasti che ha combinato in questi anni.
L’approccio tenuto dal nostro governo per far fronte alla crisi le pare quindi soddisfacente?
Sì. L’Italia ha adottato una politica economica fatta di tanti interventi di aggiustamento, prima mettendo al riparo i risparmiatori, poi destinando fondi per la ricapitalizzazione delle banche e infine tutelando le imprese. la nostra crisi, ripeto, è subita: gli altri non consumano e quindi noi non esportiamo.
Nel dettaglio: condivide la moratoria sul debito delle imprese?
Mi pare un provvedimento utilissimo per aiutare le pmi in un momento in cui sono alle prese con problemi di capitale, o perché strette dal credit crunch, o perché l’intero meccanismo dei pagamenti si è inceppato: tutti cercano di non pagare in attesa di essere pagati dagli altri.
Le altre misure a sostegno delle imprese?
La detassazione degli utili reinvestiti in macchinari è stata molto utile, perché il Made in Italy che sta soffrendo di più è quello della meccanica. Mi sembra un buon provvedimento, perché le imprese non fermano completamente la propria attività, soprattutto quelle più competitive. E la possibilità di risparmiare fino al 50% in termini di detassazione nell’acquisto di macchinari, a detta di molti imprenditori è un’occasione imperdibile. In più è un provvedimento che mette in condizione, essendo destinato all’acquisto di macchine industriali, di comprare italiano.
Quanto durerà il calo dell’export?
Quanto impiegheranno a guarire le economie malate che hanno provocato il crollo del commercio mondiale? Questo nessuno è in grado di dirlo. Tant’è vero che la Cina ha puntato tutto su un meccanismo di domanda interna, di fatto irrealizzabile in occidente, a meno di far esplodere i conti pubblici. La realtà è che i conti veri della Cina non li conosce nessuno. Come nessuno realmente sa se le sue banche sono in attivo o in passivo. Non vorrei che la crescita cinese che tutti ammiriamo fosse la prossima bolla.