Qual è il ruolo dell’Italia nella grande partita dei gasdotti continentali? Roberto Potì, direttore centrale Internazionale, Fonti rinnovabili e Progetti speciali di Edison, spiega a ilsussidiario.net lo scenario strategico degli approvvigionamenti di gas nel prossimo futuro. Abbiamo una certezza: l’Europa avrà bisogno di più gas ma la Russia ne esporterà di meno. Ecco perché al nostro paese servono, dice Potì, approvvigionamenti aggiuntivi senza dipendere dalla Russia. La risposta italiana si chiama Adriatic LNG, Galsi, ITGI. Con la possibilità di giocare un ruolo pivot nell’area mediterranea.



Ingegner Potì, qual è lo scenario nel quale si collocano le scelte strategiche di Edison per quanto riguarda gli investimenti nel settore del gas?

Il primo dato certo è che l’Europa avrà bisogno di più import. A fronte di una crescita nel fabbisogno la fornitura addizionale può venire da Russia e Nord Africa o da altri Paesi dell’Area Caucasica. Ma è impensabile che la Russia da sola  possa fornire i miliardi di metri cubi richiesti.



Quali sono le vostre previsioni per quanto riguarda il fabbisogno di gas naturale nei prossimi anni?

Nel 2007 l’Europa ha consumato circa 560 miliardi di metri cubi, 300 di produzione europea e 260 importati. Ebbene, nel 2020 la produzione europea scenderà a 250 miliardi di mc, un calo dovuto ad una gestione più oculata dei pozzi che sono in Norvegia ed alla riduzione della produzione in Gran Bretagna, mentre la domanda aumenterà, passando da 560 a 650-700 miliardi di mc. Questo differenziale dipende anche dalla scelta del governo tedesco di attuare o meno il programma di chiusura delle centrali nucleari con 40 anni di esercizio.



Perché prevede una limitazione delle forniture russe come quello che ha citato?

Perché Gazprom ha altre opzioni di export diverse dall’Europa: su tutte Cina e India. Saremmo ben contenti se la Russia mantenesse l’attuale livello di export e i gasdotti North Stream e South Stream servono più a mantenere sicure le rotte che ad aumentare l’import europeo. Se dei previsti 150 miliardi di mc di fabbisogno aggiuntivo la Russia può darne solo una parte, allora almeno 20 miliardi devono venire o dal Nordafrica o dal Qatar, come per esempio avverrà attraverso il rigassificatore di Adriatic LNG (la joint venture fra Edison, Exxon Mobil e Qatar Terminal, ndr.) o dal Caucaso anche attraversando il Caspio.

È in questo quadro di approvvigionamento strategico che si inseriscono le tre infrastrutture nelle quali Edison è partner?

Sì: il gas che alimenta il terminale di Adriatic LNG proviene dai campi del Qatar; Galsi, con gas di provenienza algerina, aumenterà la possibilità di import dal Nordafrica e infine il terzo progetto, ITGI, di interconnessione Turchia Grecia Italia, porterà il gas azero dal Caspio.

A che punto è il progetto Galsi?

È già nella fase di ingegneria di dettaglio. L’iter autorizzativo dovrebbe concludersi a fine 2009, inizio 2010. In base all’accordo sottoscritto con Snam Rete Gas, a Galsi compete lo sviluppo del progetto completo e la costruzione del gasdotto dall’Algeria alla Sardegna, Snam si occuperà della tratta interna alla Sardegna e di quella dalla Sardegna alla Toscana. Avrà una capacità di 8 miliardi di mc e il primo gas arriverà a fine 2013.

E per quanto riguarda LNG e il metanodotto ITGI?

Il terminale dell’alto Adriatico è attualmente in fase di collaudo. Prevediamo l’operatività completa entro il 2009. ITGI invece è sfasato temporalmente rispetto a Galsi perché il gas del Caspio sarà disponibile solo dal 2015-2016, però l’ingegneria preliminare è stata terminata e la società mista Igi Poseidon con il partner greco Depa è stata costituita. Abbiamo ottenuto dalla commissione europea e dal governo italiano il diritto di trasporto del gas per Edison e Depa. Resta da chiudere il contratto di fornitura con chi ci darà il gas in quell’area, definire i contratti di trasporto e avviare l’investimento.

Come si collocano queste politiche di approvvigionamento e di investimento sullo sfondo dei grandi gasdotti che provengono dalla Russia, North Stream, South Stream in particolare?

È importante avere nuovi approvvigionamenti aggiuntivi senza dipendere dalla Russia. Il North Stream porta il gas in Europa centrale, il South Stream va in Europa centrale per i due terzi della capacità, mentre un terzo andrebbe a sud con un percorso abbastanza simile all’ITGI. È un progetto che richiede molto più tempo, perché attraversare tutto il Mar Nero a profondità notevoli e passare dalla acque di interesse ucraino implica ancora tanti passi da fare e coinvolge interessi enormi.

Progetti che in ogni caso non possono non misurarsi con le strategie di Gazprom: le «altre opzioni» di cui parlava all’inizio…

Come ho accennato, Gazprom guarda con interesse anche ad altri mercati più vicini, in forte espansione. Se in Italia ed Europa i consumi crescono dell’1,5%, in Cina e India aumentano tra il 4 e il 6% l’anno. E molti paesi della rete Gazprom, come Kazakistan, Turkmenistan e Uzbekistan dai quali oggi viene il gas che arriva in Europa, stanno facendo in proprio gasdotti verso India e Cina. Quindi avere approvvigionamenti alternativi è una scelta necessaria oltre che lungimirante.

L’Italia è un paese con una forte dipendenza dal gas come fonte energetica. Serve un mix più equilibrato?

Senz’altro. Già anni fa, in tempi non “sospetti”, abbiamo cominciato a pensare a questi gasdotti anche in previsione di scenari diversi. Se guardiamo già oggi in prospettiva al 2030 o al 2040 è facile capire che non possiamo rimanere legati unicamente al gas, perché occorre mettere in conto una diminuzione nella produzione, non solo in Europa ma a livello mondiale, ed una ridistribuzione degli approvvigionamenti dovuta al mutato scenario geopolitico.

A questo si aggiunge il fenomeno di “nazionalizzazione” delle risorse in chiave strategica…

Sì. Mentre in passato le riserve erano in mano alle multinazionali che mettevano il gas sul mercato quando esso lo richiedeva, oggi i paesi produttori – non solo quelli mediorientali, ma anche la Norvegia per esempio – hanno fatto piani a lungo termine in modo da far durare le proprie riserve di gas il più a lungo possibile. E non è detto che intendano esportare nei tempi che sarebbero a noi più congeniali.

Ci sono interessi dell’Italia che non coincidono in tutto con quelli dell’Unione europea?

Come è noto la Francia ha sempre svolto una politica attiva verso il Mediterraneo. Avevamo grande aspettative per il periodo di presidenza francese dell’Ue, ma purtroppo la presidenza Sarkozy è coincisa con la crisi finanziaria mondiale e quindi molti piani sono stati rimandati. In effetti l’Europa è in ritardo nei rapporti col sud del Mediterraneo e in questo l’Italia può giocare un ruolo importante, valorizzando un suo ruolo di pivot nell’area che le è storicamente peculiare.

Cosa pensa del “rinascimento nucleare” italiano?

Sono totalmente favorevole ad un ritorno al nucleare. Oggi siamo per l’80% dipendenti da fonti di importazione. Sarebbe un grosso risultato arrivare a quel 20-25% di energia nucleare, rimanendo dipendenti per il 50% da fonti fossili di importazione e per il 20-25% da fonti rinnovabili. D’altra parte occorre tener presente che il ricorso all’atomo potrà avere una qualche incidenza sui consumi italiani dopo il 2020.

A suo avviso cosa manca, oggi, alla nostra politica energetica?

Un piano energetico nazionale sarebbe senz’altro utile al paese. Da quando non c’è più l’ operatore unico, è venuto meno anche il piano nazionale e sono proliferati i piani regionali, che difettano però di una visione strategica complessiva e sono incompatibili con l’elaborazione di uno scenario di lungo termine. Senza contare che un piano nazionale aiuterebbe enormemente le imprese a indirizzare i propri investimenti.