Le imprese italiane continuano a soffrire, in particolare le Pmi. Ieri, dall’assemblea dell’Abi, il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, ha lanciato l’idea di una moratoria, da parte delle banche, sulle scadenze più pressanti dei crediti verso le imprese. Una proposta che è stata ben accolta dal presidente di Confindustria Emma Marcegaglia, e che segue il decreto anticrisi recentemente varato dal Governo. Per Giuseppe Morandini, Presidente della Piccola Impresa di Confindustria, occorrono comunque altri passi in avanti. In particolare agevolazioni per la ricapitalizzazione delle imprese, una moratoria sui parametri troppo pressanti di Basilea 2 e misure per incentivare i consumi, aumentando così la domanda interna.
Presidente Morandini, le imprese italiane, soprattutto le piccole, rimangono in una situazione di forte difficoltà. Addirittura si teme che per molte di esse sarà difficile poter riaprire i cancelli dopo le vacanze estive. Lei è più ottimista o pessimista?
Vede, quando dal secondo semestre 2008 ci si trova a gestire fatturati con un calo nell’ordine anche del 50% in alcuni settori, è evidente che si riesce a reggere per alcuni mesi, ma poi occorre trovare delle misure straordinarie: soprattutto se parliamo di piccola impresa, che non ha infinite disponibilità di capitali. Ritengo che questi mesi – e quelli immediatamente successivi alla ripresa produttiva – saranno quelli della prova del nove per il nostro sistema di piccola impresa.
Che giudizio dà delle misure anticrisi predisposte dal governo?
I titoli sono buoni, ma gli articoli hanno bisogno di alcune correzioni. Manca però un titolo su tutti: quello della patrimonializzazione delle piccole imprese. Occorre agevolare dal punto di vista fiscale gli apporti di capitale per il rifinanziamento delle nostre imprese. E soprattutto manca un’agevolazione fiscale sugli utili che rimangono in azienda.
Da preferire quindi allo sgravio degli utili reinvestiti, anche perché in tempo di crisi chi investe in macchinari è la minoranza…
Da affiancare piuttosto. Sono convinto che se c’è un parametro che deve fare da riferimento per l’uscita da questa crisi è proprio quello della ricapitalizzazione delle imprese. Senza aziende patrimonializzate non possiamo guardare al futuro con serenità. Non usciranno dalla crisi le grandi piuttosto che le piccole, quelle che hanno cento dipendenti piuttosto che quelle che ne hanno dieci, ma quelle che sono patrimonializzate. Incrementare la patrimonializzazione deve essere il primo compito del governo.
Quali sono allora le altre misure che dovrebbero trovar posto nel decreto?
In secondo luogo è assolutamente necessario che si provveda con qualsiasi misura al rilancio dei consumi. Riprendere i volumi di vendite è
Importantissimo: altri paesi stanno studiando politiche di agevolazione Iva, sarebbe il caso che anche noi per una volta dimostrassimo più coraggio nell’adottare misure in questo senso. Incentivando i consumi, lo Stato si ritroverebbe le agevolazioni in termini di entrate fiscali sulla tassazione degli utili delle imprese. Agevolazioni lato acquisti aiutano il dipendente, aiutano chi ha difficoltà finanziarie ad arrivare a fine mese ed aiutano le aziende a garantire posti di lavoro. Ne gioverebbe la coesione sociale.
C’è chi ha nuovamente invocato l’abolizione dell’Irap.
L’abolizione dell’Irap è una di quelle battaglie con le quali si va sui giornali, ma dubito che se ne possa parlare aspettandosi dei risultati concreti. La realtà è che abolire l’Irap andrebbe a toccare una voce troppo pesante delle entrate di bilancio e non si può rinunciarvi. Lungi dal difenderla, sono pienamente convinto che sia un’imposizione distorsiva. Ma è più realistico puntare ad avere strumenti selettivi che incidono sulla quotidianità aziendale: patrimonializzazione, rilancio dei consumi e infine moratoria di Basilea 2. Sono queste le tre priorità assolute.
La presidente Marcegaglia ha nuovamente fatto appello alle banche perché non lascino sole le imprese. Le banche da parte loro si ispirano a criteri di prudenza e dicono che non tutte le imprese meritano credito. Come conciliare queste due richieste?
Per le banche ci sono imprese che non lo meritano perché c’è un’applicazione troppo rigorosa e serrata dei parametri di Basilea 2. Già sui bilanci del 2008 Basilea 2 ha avuto un impatto devastante; figuriamoci quale potrà essere quello sui bilanci del 2009. Anche in questo caso c’è una distorsione molto grave: quelle regole costringono le banche ad avere accumuli di capitali superiori rispetto alle condizioni normali.
Attenervisi ora sarebbe l’antitesi di come si affronta per davvero la crisi.
Molte previsioni dicono che dalla metà del 2010 si dovrebbe tornare a registrare una crescita del Pil. È plausibile?
Guardi, io sono tra quelli che non si sono iscritti al campionato di chi fa le stime sulla fine della crisi, perché è un campionato nel quale anche se si vince non si vince nulla. Sono convinto che ci troviamo nel mezzo di una crisi completamente sconosciuta e che per questo vada affrontata “ora per ora”, contrastata con strumenti puntuali e precisi che vanno aggiornati a seconda delle esigenze.
Le nostre imprese si faranno trovare pronte per sfruttare l’occasione della ripresa?
Anche qui è difficile rispondere. Una cosa è certa: la crisi sta sfidando tutti gli imprenditori e porterà una grande ristrutturazione del sistema produttivo italiano. Gli imprenditori devono poter capire quali saranno i livelli di assestamento dei mercati nei prossimi 2-3 anni, di sicuro al di sotto dei volumi del 2006 e del 2007. E sulla base di quelle stime devono riuscire a tarare il proprio punto di pareggio, la propria riorganizzazione aziendale e la propria struttura dei costi.